Lo stratosferico debito pubblico americano e le sue implicazioni con le scelte di politica estera. |
Il debito pubblico degli Stati Uniti di Daniele John Angrisani Introduzione E’ stato sempre detto che viviamo in un mondo nel quale gran parte delle risorse del pianeta sono consumate da poche persone. Questo è vero anche di più, oggi che la principale potenza economica e politica mondiale vive, di fatto, sui prestiti che gli sono garantiti dall’estero. Se non fosse per questi, infatti, l’American Way of Life sarebbe già stata consegnata definitivamente alla storia da tempo. Ma dipendere dall’estero ha anche dei rischi piuttosto alti. E’ per questo motivo che abbiamo pensato di scrivere questo dossier sul debito pubblico americano; crediamo che una comprensione di ciò che significa a livello macroeconomico avere un debito così alto, possa aiutare a capire in modo più profondo alcune scelte prese da questa Amministrazione o da quelle precedenti. A questo proposito, prima di passare ad una disamina dell’aspetto più prevalentemente economico, ci preme fare alcune considerazioni più prettamente politiche. Come potrete leggere di seguito, gli Stati Uniti sono stati un Paese sempre indebitato sin dalla loro nascita. Ma è innegabile che il vero picco di indebitamento si sia avuto a seguito della reaganomics, quando, abbandonata definitivamente la strada del keynesianesimo e del New Deal, l’America decise di immolarsi sull’altare della liberalizzazione selvaggia. I profondi tagli alle tasse decisi in quel periodo, quasi tutti a favore dei più ricchi, la distruzione di ciò che rimaneva dello Stato Sociale americano e l’aumento esponenziale delle spese militari per la corsa agli armamenti degli anni ottanta, ha portato infatti il debito pubblico americano a triplicarsi in meno di 10 anni. L’idea sulla quale era fondata (e lo è ancora oggi) questa balorda politica economica, è quella per cui se si da di più a chi ha di più, ne verrebbero a beneficiare anche coloro che hanno di meno, perché il benessere dall’alto tenderebbe a scendere verso il basso, come una specie di cascata. Ovviamente come era stato facile attendersi, tale politica economica ha invece portato solo all’aumento esponenziale della forbice tra i pochi ricchi che sono diventati sempre più ricchi e la sempre più folta rappresentanza di poveri, che man mano si è arricchita di elementi provenienti dalla classe media che, nel corso del tempo, è andata impoverendosi accrescendo le fila dei poveri. Per di più, questa netta distinzione sociale è preoccupantemente analoga alla divisione etnica del Paese: coloro che hanno infatti maggiormente subito il disastro sociale derivante da queste politiche, sono infatti i neri e gli ispanici, i quali solo oggi iniziano a rendersi conto della loro importanza all’interno del sistema economico e sociale americano, che senza il loro lavoro cadrebbe come un castello di carte al primo soffio di vento. Il punto che bisogna tenere a mente quando si parla del debito americano è comunque che, attraverso l’aumento dell’indebitamento, le classi dirigenti americane sono riuscite ad ottenere subito dei vantaggi immediati (tagli alle tasse, deregulation), spostando sui meno abbienti e soprattutto sulle generazioni future, il peso di questa politica. Durante gli Anni Novanta comunque, grazie alla fine della guerra fredda, alla diminuzione delle spese militari ed ad un certo aumento della pressione fiscale per ridurre il deficit e risanare il bilancio federale, anche il debito pubblico ha smesso di crescere ed in rapporto al PIL ha iniziato addirittura a diminuire all’inizio del 2000. Va dato atto alla politica economica dell’era clintoniana di aver ottenuto almeno questo risultato, nonostante tutti gli orrori e gli errori che anche essa ha causato, vedi ad esempio il non aver fatto nulla per evitare lo scoppio della bolla speculativa in Borsa ed il conseguente deprezzamento dei corsi azionari, che ha significato niente altro che l’andata in fumo di miliardi di dollari di risparmi americani, scomparsi nel fango delle speculazioni finanziarie. Ciò che di buono era stato ottenuto durante la presidenza Clinton è andato però subito perso da quando George W. Bush è stato “eletto” alla Casa Bianca, grazie anche ad un programma che prevedeva un reply delle politiche economiche dell’era Reagan e quindi soprattutto profondi e strutturali tagli alle tasse per i più ricchi. Da questo punto di vista, non si può dire che Bush non abbia mantenuto le sue promesse: anche di fronte ad un Paese colpito al cuore dal terrorismo internazionale, all’aumento esponenziale delle spese militari e per l’intelligence a causa della guerra al terrorismo, Bush ed il Congresso repubblicano sono andati avanti come nulla fosse accaduto ed hanno approvato diverse migliaia di miliardi di dollari in tagli alle tasse: tutti o quasi a favore dei più ricchi, ovviamente. Oggi il debito pubblico americano ha raggiunto la cifra astronomica di 8,4 mila miliardi di dollari e la sua crescita non mostra alcun segno di volersi fermare. Entro la fine dell’anno fiscale corrente, molto probabilmente il debito raggiungerà e supererà la cifra di 9 miliardi di dollari, di cui una quota sempre maggiore è posseduta da soggetti esteri. Questo significa quindi per gli Stati Uniti dipendere pesantemente dall’estero, con i rischi che ciò comporta: in primis il fatto che Paesi come la Cina, di cui l’America è sempre più debitore, possano già oggi decidere, de facto, di alzare i tassi di interesse americani semplicemente decidendo di non comprare più titoli americani, con effetti pesanti sulla crescita dell’economia americana. Soprattutto però, questo significa pagare ogni anno una quota sempre maggiore di interessi, bloccando in tal modo voci di spesa che potrebbero invece essere usate per finanziare un sistema sanitario degno di questo nome, oppure per investimenti nel settore scolastico, cosa di cui gli Stati Uniti avrebbero immenso bisogno. Ciò che viene speso per interessi sul debito, altro non è infatti che la dissipazione di quelle risorse a cui l’America ha abdicato nel futuro per garantirsi oggi di vivere al di sopra delle proprie necessità. Ma quanto potrà continuare tutto questo? Il debito pubblico Il debito pubblico americano, è l'ammontare di moneta che il governo federale degli Stati Uniti deve ai creditori che possiedono titoli del debito americano. Questa cifra quindi non include il debito dovuto da Stati, aziende, o individui, ma solo quello dovuto dal governo federale. All’11 maggio 2006, la somma totale del debito pubblico americano, come abbiamo già anticipato, è pari a circa 8,4 mila miliardi di dollari. Il World Factbook della CIA ha stimato il PIL americano del 2005 pari a 12,41 mila miliardi di dollari, e perciò gli Stati Uniti sono il 35esimo Paese più indebitato al mondo in termini di percentuale del prodotto interno lordo, avendo un debito pari al 64,7% del PIL. Giusto per fare una comparazione, la stima del debito pubblico della Cina secondo il Factbook 2005 è di soli 242 miliardi di dollari, con un PIL 2005 stimato pari a 8,182 mila miliardi di dollari. La somma del debito dei 206 Paesi che sono stati considerati nel World Factbook è stata pari a 38,54 mila miliardi di dollari. Di questi, gli Stati Uniti ne possediono quindi circa il 22%. Una divisione apposita del Dipartimento del Tesoro americano conosciuta come l' Ufficio del Debito Pubblico calcola ogni giorno l'ammontare del debito pubblico dovuto dal governo americano. Struttura del debito americano L'Ufficio del debito pubblico divide l'ammontare del debito in due categorie principali: il debito possieduto dal pubblico, ed il debito intergovernativo. Il cosiddetto debito intergovernativo è quello che è detenuto dai cosiddetti trust fund, ad esempio i piani pensione ed il debito detenuto dal Social Security, ovvero dal sistema di welfare state americano gestito dallo Stato, pari a circa 1,7 mila miliardi di dollari al maggio 2005, ultimo mese di cui si hanno al momento dati in tal proposito. In media, l'intero debito intergovernativo ha raggiunto nel 2005 la cifra di oltre 3,1 mila miliardi di dollari. I rimanenti 4,6 mila miliardi di dollari sono invece detenuti dal pubblico, incluso quindi da entità straniere. Questo tipo di debito dipende in gran parte dall'emissione di Titoli del Tesoro americano. Quasi metà di tale debito (2,2 mila miliardi di dollari) è composto delle cosiddette note del Tesoro (aka T-notes), mentre i T-bills e i T-bonds (incluso i bond di risparmio) coprono circa tutto ciò che rimane del debito pubblico detenuto dal pubblico. Anche i bond emessi per finanziare la costruzione di infrastrutture fanno parte del debito federale. E' abbastanza comune per gli investitori americani comprare bond ed altri titoli del debito pubblico americano, sebbene molta parte del debito americano sia ora detenuta da soggetti esteri. Alla fine del 2004, il totale del debito pubblico americano detenuto da soggetti esteri è stato pari a 1,886 mila miliardi di dollari, ovvero circa il 44% del totale debito pubblico detenuto dal pubblico. In particolare le banche centrali estere detengono circa il 64% del totale del debito detenuto da soggetti esteri; il restante è detenuto quasi totalmente da investitori privati. (tai dati provengono dalla pagina 257 delle Prospettive Analitiche allegate al Bilancio Federale 2006). Il Paese che di gran lunga è il maggior creditore degli Stati Uniti è il Giappone, che deteneva, al marzo 2005, circa 1,2 mila miliardi di titoli del debito pubblico americano. Negli ultimi anni oltre al Giappone si è anche aggiunta la Repubblica Popolare Cinese che al marzo 2005 risultava detenere 323,5 miliardi di dollari in titoli del debito pubblico americano. Come si calcola il debito? Come abbiamo già detto l'Ufficio per il Debito Pubbligo tiene traccia giornaliera dell'ammontare di debito dovuto dal governo americano e pubblica report sia mensili che giornalieri. Sebbene i numeri di questo ente siano i più usati, alcuni economisti preferiscono usare altri metodi di calcoli ed includere quindi ulteriore debito. Vi è infatti una questione aperta tra gli economisti americani sull'ipotesi che il debito dovuto dai 50 Stati americani debba essere considerato come parte del debito federale, cosa che, come abbiamo accennato, l'Ufficio federale non fa. Inoltre alcuni economisti includono nel debito pubblico anche i debiti che il governo federale ha contratto nel corrente anno fiscale per l'acquisto beni e servizi. Il debito pubblico è normalmente visto come un numero assoluto, ma come sappiamo è possibile anche misurarlo come percentuale del prodotto interno lordo (PIL). Se usiamo questo tipo di misura, gli Stati Uniti diventano un Paese con un debito medio. Da questo punto di vista infatti, l'economia del Giappone risulterebbe essere molto più problematica, in quanto tale Paese ha un debito che ammonta a circa il 165% del suo PIL. Un altro metodo può essere la misura dell'ammontare di debito pagabile in ogni anno. Per esempio, data la struttura del debito americano, buona parte del debito è rimborsabile a 10, 20 o persino 30 anni — qualcosa di molto simile ad un mutuo. Esiste quindi un dibattito acceso su come tale debito vada correttamente rappresentato. Spesse volte, queste diverse interpretazioni sulla rappresentazione del debito sono usate dalle diverse fazioni politiche per esprimere il proprio punto di vista sull'argomento. L'unica cosa certa è che il debito futuro stimato per gli Stati Uniti dovrebbe quantomeno raddoppiare, se non triplicare. Previsioni sul debito futuro Tenere traccia del debito corrente è un processo complesso, ma abbastanza ben delineato. Invece effettuare proiezioni su quale sarà il debito in futuro è un esercizio molto più difficile per diverse ragioni. Giusto per fare un esempio, l'Amministrazione Bush aveva previsto per il triennio 2001 - 2004 un surplus di bilancio pari a 1,288 mila miliardi di dollari, come indicato nel Bilancio 2002. Invece nella Sessione di Revisione 2005, tale valore è stato modificato in un deficit previsto di 850 miliardi di dollari, ovvero una modifica in negativo di ben 2,138 mila miliardi di dollari. La Tavola 7 del secondo documento ha reso noto che il 49% do tale revisione è stata dovuta a "nuove stime economiche e tecniche", il 29% è stato dovuto ai "tagli alle tasse", ed il rimanente 22% è stato dovuto all'aumento di spese per "la guerra, la Difesa ed altre legislazioni implementate". Quindi, ci sono almeno tre ragioni che possono portare all'inadeguatezza delle previsioni sul futuro: cambiamenti delle condizioni economiche (ad esempio una recessione non attesa), cambiamenti nella politica (come nel caso dei tagli alle tasse e dell'aumento della spesa militare), ed in generale la non accuratezza della previsione del futuro. Inoltre, proiezioni differenti potrebbero anche derivare da assunti iniziali differenti. Per esempio, una previsione dell’Ufficio per il Bilancio del Congresso americano dell'agosto 2003 aveva indicato in 1,4 mila miliardi il deficit tra il 2004 d il 2013. Però, sulla base degli stessi dati una analisi congiunta effettuata dal Centro sul Budget e le Priorità Politiche, dal Comitato per lo Sviluppo Economico, e della Concord Coalition il mese successivo aveva concluso che "nel prevedere il deficit, la CBO aveva seguito le regole base che non prevedono di tenere conto del costo di qualsiasi tassa o legge potrebbe essere approvata in futuro, a prescindere da quanto ciò potrebbe influenzare il bilancio". Perciò rieffettuando l'analisi ed aggiungendo i costi dell'estensione proposta dei tagli alle tasse, del piano di prescrizione farmaceutica a carico dello Stato e dell'aumento delle spese sulla difesa, la sicurezza interna ed internazionale e le spese domestiche, si ottiene un aumento del deficit previsto da 1,4 mila miliardi a 5 mila miliardi di dollari. Perciò anche gli assunti sui quali si basano le previsioni sono di importanza fondamentale. Comunque, nonostante la ovvia difficoltà a fare previsioni future, il governo ha il dovere di effettuarle per avvisare il Paese di quale possa essere il suo futuro finanziario. Per questo motivo il governo federale ha provveduto ad effettuare le sue previsioni nella Tavola 13-2 alla pagina 209 delle Prospettive Analatiche del Budget 2006. Sulla base di queste proiezioni il debito pubblico detenuto dal pubblico raggiungerà la cifra impressionante del 249% del PIL nel 2075. Si tratta di una cifra pari a due volte il livello massimo raggiunto durante la Seconda Guerra Mondiale e quasi quattro volte il livello attuale. La gran parte di questo aumento è devuto al previsto aumento dei titoli di spesa ed ai risultanti interessi sul debito pubblico da rifinanziare. E' però corretto notare che stiamo parlando di proiezioni, non di previsioni. Tali proiezioni infatti si basano sull'assunzione che da oggi sino al 2075 non ci siano shock economici e che le politiche del governo non cambino. E' ovvio invece che la sola ipotesi di quadruplicazione dell'ammontare del debito pubblico avrà un enorme effetto sull'una o l'altra delle assunzioni nel lungo termine. Diminuire il debito? C'è chi pensa che sia meglio di no Il debito degli Stati Uniti viene ripagato ogni qualvolta i titoli vengono restituiti per il pagamento. Il debito comunque non può essere ripagato così al volo, in parte perchè buona parte di tale debito è costituito di titoli emessi per lungo periodo (10, 20 o 30 anni, come anticipato prima). Il metodo più comune che viene usato oggi per "ridurre" il debito è attraverso la crescita del PIL. La speranza è infatti quella che il deficit causato dall'aumento di spesa che viene finanziato dal debito permetterà al PIL di crescere più velocemente del debito, e così — almeno, in termini relativi, ovvero rispetto al PIL — il debito diminuirà. Questo metodo ha funzionato egregiamente tra la fine della Seconda Guerra Mondiale ed il 1980, sebbene in tale periodo il debito in valore assoluto fosse aumentato. Il debito può anche essere ripagato aumentando le entrate dello Stato, attaverso perciò l'aumento delle tasse o di altre imposte, come ad esempio le tariffe per l'importazione. Nel 2003 infatti oltre il 47% della tassa sul reddito personale (ma non delle entrate totali dello Stato), ovvero di quella che in Italia verrebbe definita IRPEF, è stato speso pagando interessi sul debito pubblico. Inoltre, se fosse possibile evitare di finanziarsi con altro debito, le entrate correnti potrebbero essere usate per ripagare il debito in scadenza ed i prestiti richiesti. Infatti, secondo la legge americana, un eventuale surplus di bilancio deve essere usato per ripagare il debito che lo Stato ha in scadenza, sebbene lo Stato possa continuare a finanziarsi con altro debito. Il debito infine può essere ripagato anche tagliando drasticamente le spese per alcuni programmi governativi e redirigendo tali dollari a favore del ritiro di significanti porzioni del debito pubblico. Ci sono però grossi pericoli nel caso di rimborso del debito anticipato, principalmente riguardo all'offerta di moneta. Nel sistema attuale infatti, virtualmente tutta la moneta in circolazione era all'inizio debito dello Stato. Se, come ritengono Rodger Malcolm e Murray Rothbard, la grande maggioranza della moneta in circolazione è nata dal debito - l'indice della massa monetaria, M3, è stato pari a 10,012 mila miliardi di dollari nell'aprile 2006 - può essere stimato che il rapporto tra il debito e la moneta in circolazione sia pari a 1:1,28 dollati; ciò significa che mediamente ogni volta che il governo emette 1 nuovo dollaro di debito l'indice della massa monetaria in circolazione, M3, aumenta di circa 1,25 dollari. Per questo motivo nel loro libro, Free Money, Rodger Malcolm afferma che ogni maggiore recessione economica nella storia americana è derivata da una forte riduzione precedente del debito federale, e che ogni maggiore espansione economica è coincisa con una ripresa della spesa pubblica ed un aumento generale del debito: • nel periodo tra il 1817 ed il 1821 il debito federale è stato ridotto del 29%. Una recessione è iniziata nel 1819; • nel periodo tra il 1823 ed il 1836 il debito federale è stato ridotto del 99,7%. Una recessione è iniziata nel 1837; • nel periodo tra il 1852 ed il 1856 il debito federale è stato ridotto del 59%. Una recessione è iniziata nel 1857; • nel periodo tra il 1867 ed il 1873 il debito federale è stato ridotto del 27%. Una recessione è iniziata nel 1873; • nel periodo tra il 1880 ed il 1893 il debito federale è stato ridotto del 57%. Una recessione è iniziata nel 1893; • nel periodo tra il 1920 ed il 1930 il debito federale è stato ridotto del 36%. La cosiddetta "Grande Depressione" è iniziata nel 1929; • infine nel periodo tra il 1998 ed il 2000 la crescita del debito federale si era abbassata all'1,4% annuo. Nel 2001 l’economia americana è però entrata in recessione, come ben sappiamo. Alla recessione del 2001 si è quindi risposto di nuovo con un aumento della spesa ed una riduzione delle tasse, ovvero con una politica economica fortemente espansiva che ha causato, come ovvio che sia, un aumento esponenziale del debito pubblico americano. Per ora, comunque, tale politica sta avendo i suoi frutti, permettendo agli Stati Uniti una crescita economica sostenuta anche in un periodo di crisi mondiale. E’ per questo motivo quindi che Rodger Malcom afferma che la riduzione del debito dovrebbe essere evitata quando possibile, e che la priorità deve essere la crescita economica. Diminuire il debito? C'è chi pensa invece sia meglio di sì Come abbiamo visto il principale argomento che viene fornito da chi pensa che sia meglio non ridurre il debito è che "ogni maggiore recessione economica nella storia americana è iniziata con una forte riduzione del debito pubblico, ed ogni maggiore ripresa economica è coincisa con una ripresa della spesa federale ed una generale crescita del debito". Ma non tutti la pensano in questo modo. Per esempio, in un articolo intitolato Pareggi di bilancio e depressioni economiche, l'economista Lawrence W. Reed ha dichiarato che: Coloro che affermano che il pareggio di bilancio abbia causato la Grande Depressione (o in qualche modo contribuito ad essa), attraverso la riduzione del debito pubblico, hanno due principali problemi da risolvere: la teoria e l'evidenza empirica mancante. Per quanto riguarda l'evidenza empirica infatti, Reed si riferisce infatti alla forte riduzione della crescita federale che gli Stati Uniti hanno sofferto all'inizio degli Anni Venti dopo diversi anni di aumento della spesa, dovuta principalmente agli alti costi della Prima Guerra Mondiale. Il governo allora decise di tornare al pareggio di bilancio, con una politica economica restrittiva, e la recessione si fermò "immediatamente tanto che nella primavera del 1923 c'era addirittura il problema opposto, ovvero quello della mancanza di domanda di lavoro a fronte di un aumento fortissimo dell'offerta di lavoro. Vale a dire che c'erano più posti di lavoro dei lavoratori stessi". Riguardo invece la problematica della teoria economica, Reed afferma che la nozione che il pareggio di bilancio causi la depressione economica è totalmente assurda e si basa sulla "discreditata nozione keynesiana secondo la quale quando un governo raggiunge il pareggio di bilancio, significa che c'è meno spesa aggregata nell'economia". Reed continua poi spiegando perchè non è questo il caso. Ci sono però altri che affermano che l'ipotesi che i "surplus di bilancio portano alla depressione" abbia qualche fondo di verità, anche se dipende più dalle conseguenze della relazione causa-effetto tra il debito pubblico e l'offerta di moneta, che non dalle politiche di bilancio restrittive in se per se. Come già affermato in precedenza infatti, e come afferma molta letteratura sull'argomento, l'offerta di moneta si espande quando le banche prestano soldi al governo e si riduce quando il governo ripaga il debito. Bene o male tutti i maggiori economisti sono d'accordo nel dire che un aumento dell'offerta di moneta provoca periodi di boom economico, mentre una sua riduzione provoca crisi e recessione economica. Uno di questi è Murray Rothbard, con il suo libro "The Case Against the Fed", in cui accusa la Federal Reserve (banca centrale americana) di aver causato più volte nel passato le crisi economiche con la sua politica monetaria restrittiva. Questo argomento ha anche preoccupato più volte l'ex governatore della Federal Reserve Alan Greenspan, da lungo tempo fautore della riduzione del deficit federale, quando, dinanzi alla Bond Market Association il 27 aprile 2001, ha affermato di essere contrario ad una riduzione troppo veloce del deficit federale: Ancora, la mancanza di titoli del Tesoro americano su cui investire potrebbe essere un problema maggiore per gli investitori internazionali che per quelli americani, poichè essi potrebbero essere meno informati riguardo all'emissione di titoli obbligazionari da parte delle aziende americane e perciò non investire in queste. Come risultato, gli investitori istituzionali - specialmente i governi esteri - potrebbero essere decisamente più interessati ai titoli di debito del governo americano che non a qualsiasi altra cosa.In tali circostanze quindi, gli investitori stranieri, al netto, potrebbero ridurre la loro domanda di dollari se i titoli del Tesoro americani vengono rimborsati e non più emessi. In se, tale diminuzione della domanda di asset finanziari in dollari, crea pressioni per l'aumento dei tassi di interesse americani e, di conseguenza, tende a portare verso il basso il tasso di cambio del dollaro. Si badi bene, non si tratta di una argomentazione contro la riduzione del debito nel lungo periodo, ma semplicemente un avvertimento di quali possano essere gli shock a cui va incontro il sistema se tale riduzione avviene troppo velocemente. In questo stesso discorso, Greenspan infatti ha anche affermato di "aver sempre pensato che la riduzione del debito nel lungo periodo è un beneficio per l'intera economia: permette ai tassi di essere più bassi di quanto lo sarebbero altrimenti e libera risparmi che possono essere usati per aumentare lo stock di capitale, aumentando in questo modo la produttività americana e quindi il reddito reale del Paese". Ciò vale a dire che quando il governo emette debito, sta consumando l'ammontare di risparmi pari a ciò che richiede come prestito. Se invece il governo emettesse una quantità minore di debito, la quantità di moneta che si libererebbe potrebbe essere usata per finanziare il settore privato e ciò abbasserebbe mediamente i tassi di interesse, con evidenti benefici sull'intero sistema economico. Rodger Malcolm sembra prendere atto di questo principio e quindi affermare che tutto ciò che bisogna fare per permettere all'economia di espandersi è semplicemente aumentare l'offerta di moneta, cosa che secondo le convenzionali teorie economiche porterebbe alla lunga al fenomeno dell'iperinflazione: “...espandere l'offerta di moneta aiuta l'economia a crescere. Gli industriali hanno più soldi per assumere altri dipendenti, ed i clienti hanno più soldi da spendere in beni, creando un circolo virtuoso, così la disoccupazione diminuisce ogni volta che la Federal Reserve pompa moneta nell'economia. Comunque, vi è anche un effetto negativo da tutto questo: si tende a creare inflazione. Perchè? Supponiamo che la Federal Reserve aumenti l'offerta di moneta del 5% ogni anno. Se i prezzi dei beni non cambiassero, allora la produttività della nazione dovrebbe seguire l'aumento dell'offerta di moneta e aumentare anche essa del 5% - tale aumento non è altro che il diretto risultato del maggior numero di transazioni finanziarie che è possibile effettuare con il maggior quantitativo di moneta reso disponibile. Ma supponiamo anche che ci siano aspettative da parte del settore privato di un espansione della moneta del 5% ogni anno. In questo caso è nell'interesse del settore privato aumentare i prezzi dei loro beni del 5% - in questo modo potrebbero guadagnare il medesimo ammontare di moneta extra senza dover lavorare di più. Per questo motivo, al fine di espandere ancora la produttività, la Federal Reserve è tenuta ad aumentare (in maniera non prevista) l'offerta di moneta del 10% l'anno seguente - ma il problema si riporrebbe l'anno successivo se il settore privato si aspettasse un ulteriore aumento di questo ammontare. Il risultato potrebbe perciò portare nel lungo termine ad una inflazione pari al 50%, 100% o anche 1000%, ovvero al fenomeno della iperinflazione tragicamente venuto più volte alla luce nella Germania di Weimar o in alcuni Paesi dell'America Latina”. O, come spiega il deputato Ron Paul, repubblicano del Texas, altrimenti conosciuto per la sua posizione decisamente critica nei confronti della politica estera di Bush: Visto che stampare moneta non è nient'altro che contraffare, il Paese che emette la moneta usata dal sistema internazionale deve anche essere il Paese la cui potenza militare possa garantire il controllo sull'intero sistema mondiale. Questo schema sembra essere il sistema migliore per ottenere il benessere perpetuo per il Paese che di fatto emette la moneta mondiale. L'unico problema, comunque, è che tale sistema modifica a lungo andare il comportamento del popolo del Paese contraffattore - così come è avvenuto in passato quando l'oro era la moneta internazionale ed era ottenuto semplicemente conquistando altre nazioni. Infatti l'incentivo a risparmiare e produrre viene meno, mentre aumenta il debito ed il benessere pian piano scompare. Rodger Malcolm afferma che per evitare tutto questo basta aumentare i tassi di interesse e tenere l'inflazione sotto controllo. Ma, come facilmente ci si potrebbe attendere da un libro chiamato "Free Money", tutto questo è troppo bello per essere vero. Nel 1971 infatti, l'espansione dell'offerta di moneta costrinse il presidente Richard Nixon a svalutare il dollaro ed abbandonare il cosiddetto Gold Standard che fino ad allora aveva tenuto in piedi l'economia mondiale. La crisi economica che ne è seguita negli anni successivi ha causato assieme alti tassi di interesse, alta inflazione ed una discesa degli indici di borsa. Rischi causati dall’avere un debito così alto Ogni volta che della moneta viene prestata ad un debitore, c'è la possibilità che tale quantitativo di moneta non venga rimborsato. Si tratta del rischio a cui fanno fronte tutti coloro che per lavoro prestano moneta, persino nel caso di Stati. Ogni entità che presta moneta calcola il suo rischio, a fronte della possibilità che tale moneta non venga mai rimborsata. Per questo motivo se gli Stati Uniti fossero visti come un Paese ad alto rischio di credito allora sarebbe difficile trovare investitori disposti a finanziare il suo debito, a meno di aumentare i tassi di interesse, con evidenti effetti negativi sulla propria economia. Gli Stati Uniti emettono bond governativi. Tali bond vengono acquistati dagli investitori che così facendo prestano soldi al governo americano. Se gli Stati Uniti per un motivo qualsiasi non dovessero riuscire a convincere gli investitori a comprare bond americani, dovrebbero quindi aumentare il tasso di interesse di tali bond (strettamente parlando tali bond sono venduti all'asta, così gli Stati Uniti non devono prendere alcuna decisione di alzare i tassi di interesse, ma questo è semplicemente l'effetto della mancata volontà degli investitori di acquistare tali bond a tassi più bassi). Il 13 dicembre 2005, il tasso sui bond trentennali emessi dal Tesoro americano era pari al 5,375%. In generale, come è ovvio che sia, un tasso aumenta quanto più alto è il rischio di credito dell'entità che emette i titoli di debito, in questo caso il governo degli Stati Uniti d'America. Il debito pubblico può essere detenuto dai cittadini del Paese che l'ha emesso, o da entità straniere. In ogni caso, a differenza del caso delle obbligazioni emesse dalle aziende, un possessore di titoli del debito pubblico non può costringere il governo a pagare i suoi debiti. Questo a causa del concetto di sovranità nazionale. Nel caso delle nazioni minori, il moderno sistema finanziario internazionale, gestito dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, potrà comunque mettere in piedi azioni simili a quelle previste dal Capitolo 11 del Codice Civile americano sui procedimenti in caso di bancarotta di una compagnia privata. Alla nazione in default è quindi concesso di rimborsare periodicamente il proprio debito. Ovviamente, in caso fossero gli Stati Uniti ad andare in default, non sarebbe per nulla semplice costringerli a ripagare il loro debito, tenendo conto che si tratta della prima potenza economica globale. Quali sono le conseguenze del possesso straniero di parte del debito pubblico USA? Le statistiche rilasciate dal Tesoro americano indicano che, alla fine del 2004, le entità straniere possedevano il 44% del debito federale detenuto dal pubblico. Circa il 64% di questo 44% era detenuto dalle banche centrali di altri Paesi. Una larga porzione di questo, a sua volta era detenuto dalle banche centrali del Giappone e della Cina. Ciò espone ovviamente gli Stati Uniti a potenziali rischi politici e finanziari dovuti dal fatto che tali banche possano smettere di comprare titoli del Tesoro americani o iniziare a venderli pesantemente sul mercato con ovvi effetti al rialzo sui tassi di interesse. In effetti, il debito detenuto dalla banca centrale giapponese ha raggiunto il livello massimo nell'agosto del 2004 ed è da allora diminuito di circa il 3%. Comunque, anche se entrambe le banche centrali cessassero di comprare titoli del Tesoro americano, gli Stati Uniti potrebbero trovare altri investitori semplicemente con l'aumento dei tassi di interesse da pagare. Diversi studiosi di geopolitica e di politica economica sono molto preoccupati per questo motivo. A causa dei forti legami finanziari, diventerebbe naturale per gli Stati Uniti diventare protettori delle nazioni di cui sono creditori. Per questo motivo, lo strategista militare Thomas Barnett crede che le diverse nazioni del mondo in questo modo stiano essenzialmente pagando gli Stati Uniti per il suo ruolo di "poliziotto del mondo". Questo, afferma Barnett, finchè sarà sarà preferibile per tutti avere un mondo stabilizzato da una sola superpotenza piuttosto che un mondo in preda all'anarchia senza il dominio politico e militare degli Stati Uniti d'America. C'è però il rischio che possano avvenire in futuro confronti militari tra gli Stati Uniti ed i suoi creditori - in particolar modo la Cina - se gli Stati Uniti non dovessero riuscire a ripagare il proprio debito nei loro confronti, sebbene la gran parte degli analisti crede che tali confronti saranno esclusivamente di carattere economico. La probabilità di un confronto militare diretto contro gli Stati Uniti è diminuita anche dal fatto ovvio che la potenza militare americana è di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi altro Paese, anche se non è imbattibile come si vede in Iraq e come si è visto in Vietnam. Un rischio molto più elevato deriva dalla possibilità che l'OPEC (l'Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio) possa iniziare a vendere il petrolio in Euro, come Saddam Hussein ha iniziato a fare a partire dal 2000, fino a che tale decisione non è stata modificata dal governo iracheno installato dopo l'invasione americana dell'Iraq nel 2003 e come pare stia pensando di fare attualmente l'Iran di Ahmadinejad. Secondo alcuni analisti è infatti questa la vera motivazione del possibile attacco americano contro l'Iran. Secondo l'economista Henry C.K. Liu, il "flottante" derivante dalla necessità da parte di tutte le nazioni industrializzate di tenere una riserva di dollari americani per proteggersi contro l'aumento del prezzo del petrolio, è pari a diverse migliaia di miliardi. Se le banche centrali dovessero decidere di passare ad una diversa moneta di riserva, ciò causerebbe il ritorno di questi dollari negli Stati Uniti in cambio di beni. Questo causerebbe inflazione, aumenti dei tassi di interesse ed aumenti nei casi di bancarotta visto che sarà richiesto, molto probabilmente, di rimborsare tutti gli asset e le obbligazioni in dollari, per aumentare il flusso di moneta e beni da dare indietro a coloro che dall'estero stanno vendendo dollari. L'impatto di un eventuale avvenimento del genere porterà. molto probabilmente, al rialzo dei tassi di interesse americani per aumentare l'appeal dei titoli del debito americani nei confronti degli investitori in un mercato più ristretto, cosa che porterà ad un aumento dell'inflazione in tutto il mondo industrializzato, data la centrale posizione che gli Stati Uniti hanno nel sistema finanziario mondiale. Questo potrebbe addirittura introdurre la possibilità di una iperinflazione a livello globale che potrebbe a sua volta bloccare la capacità dei vari Stati di reagire alla crisi. Si tratterebbe in sostanza di una ripetizione su larga scala degli attacchi dello speculatore George Soros sulla Sterlina Inglese e sulla Lira Italiana, che nel 1992 avevano costretto la Gran Bretagna e l'Italia ad uscire fuori dal Serpente Monetario Europeo, il predecessore dell'euro, ed a svalutare pesantemente le proprie monete. Il problema è che ogni dollaro di aumento del debito pubblico americano, ogni aumento di un punto base dei tassi di interesse, ed ogni piccola modifica verso l'alto del prezzo delle obbligazioni industriali, diminuisce le risorse disponibili, ed aumenta la possibilità che un giorno gli Stati Uniti siano costretti a dichiarare il default sui propri bond, ovvero ad ammettere l'impossibilità di pagare il proprio debito. La conseguenza di tutto questo sarebbe probabilmente la riduzione drastica del tasso di risparmio in dollari e la perdita da parte americana del pressoché totale monopolio degli scambi internazionali in dollari. Qualcosa del genere, in misura decisamente minore, è accaduto in Argentina quando le misure richieste dal Fondo Monetario Internazionale hanno portato ad un regime di austerità economica che è stato largamente criticato dagli economisti per aver portato al dissesto valutato del peso argentino, fino ad allora legato a doppio filo con il dollaro. Breve storia del debito pubblico americano Gli Stati Uniti hanno avuto debito pubblico sin dalla loro nascita. Il debito è stato generato sin dalla Rivoluzione America e la sua prima stima è stata pari a 75.463.476,52 dollari il 1 gennaio del 1791. Nei seguenti 45 anni, il debito prima crebbe per poi contrarsi quasi a zero alla fine del 1834. Il 1 gennaio del 1835, il debito federale era pari solo a 33.733,05 dollari, ma successivamente crebbe nuovamente fino a raggiungere punte di milioni di dollari. La prima vera drammatica crescita del debito pubblico fu dovuta agli effetti della Guerra Civile Americana. Il debito era solo di 65 milioni di dollari nel 1860, ma passò velocemente ad 1 miliardo di dollari nel 1863 e raggiunse la cifra di 2,7 miliardi di dollari alla fine della guerra. Il debito si ridusse lentamente alla fine dell'Ottocento ed all'inizio del Novecento, per poi crescere rapidamente negli Anni Dieci ed all'inizio degli Anni Venti fino ad arrivare al livello di 22 miliardi di dollari per finanziare l'impegno americano nella Prima Guerra Mondiale. Lo sforzo economico e l'impegno militare nella Seconda Guerra Mondiale portò nuovamente in alto il debito da 43 miliardi nel 1940 a 260 miliardi a seguito della guerra. Dopo questo periodo, la crescita del debito fu sempre pari a quella dell'inflazione fino agli Anni Ottanta, quando iniziò a crescere rapidamente. Solo nel 2000 il debito pubblico riprese a diminuire a seguito del corposo surplus di bilancio di quell'anno, ma già dopo due anni, nel 2002, ha iniziato a crescere nuovamente rapidamente a seguito dell'enorme deficit di bilancio che si è accumulato negli ultimi anni, dopo l'11 settembre. In ogni periodo della storia americana (almeno nei decenni recenti), c'è sempre stato in piedi un cosiddetto debt ceiling, ovvero una limitazione per legge della quantità massima di debito pubblico che lo Stato si può permettere. Se il debito dovesse crescere fino a raggiungere tale limite, molte attività governative sarebbero chiuse oppure fortemente limitate per ridurre il debito. Comunque, il limite è solitamente alzato a seguito di nuove leggi approvate ogni anno (o circa) dal Congresso degli Stati Uniti d'America. L'esempio più recente è avvenuto nel marzo 2006, quando il Congresso americano ha alzato il limite (debt ceiling) del debito pubblico a quasi 9 mila miliardi di dollari. Se invece di vedere il debito pubblico in valore assoluto lo si vede come percentuale del PIL, allora il debito pubblico americano è aumentato fortemente durante la Seconda Guerra Mondiale, raggiungendo circa il 122% del PIL nel 1946. Una volta concluso il conflitto, il debito è iniziato a diminuire, fino a raggiungere il minimo pari al 32,6% del PIL nel 1981. Il debito a questo punto è iniziato a salire di nuovo fino a raggiungere un massimo del 67,3% del PIL nel 1996. E' quindi sceso di nuovo fino al 57,4% del PIL nel 2001, grazie alle politiche implementate dall'Amministrazione Clinton, ma è di nuovo salito a seguito dell'implementazione dei forti tagli alle tasse da parte del Congresso e dell'Amministrazione del presidente George W. Bush. Nel 2004, il debito ha così di nuovo raggiunto il 63,7% del PIL ed è previsto ancora in crescita, fino ad arrivare al 70% del PIL nel 2010. Deve essere comunque considerato che questo livello è pressochè pari a quello di altre potenze industrializzate, come Germania e Francia. Per qualsiasi informazione sulle serie storiche del debito americano, si può comunque fare riferimento alla Tavola 7.1 del Bilancio 2006 degli Stati Uniti d'America. I presidenti americani ed il debito pubblico Le seguenti statistiche sono date sia in valore assoluto che come espressione del rapporto del debito pubblico rispetto al PIL. Bisogna a questo punto tenere presente che il livello più elevato del rapporto debito pubblico è stato del 121,2% nel 1946 a seguito della Seconda Guerra Mondiale. Debito Pubblico americano e Amministrazioni presidenziali Presidente Partito Anni Aumento del debito Aumento annuale Debito come % del PIL Jimmy Carter D 4 49,1% 10,5% 33,3% Ronald Reagan R 8 188,2% 14,1% 52,6% George H. W. Bush R 4 46,2% 9,9% 65,9% Bill Clinton D 8 13,7% 1,6% 57,7% George W. Bush fino al 2004 R 4 26,0% 5,9% 64,8% Fonte di tali statistiche è l’Ufficio per il Bilancio del Congresso Americano La formula usata per il calcolo della percentuale di crescita del debito è stata la seguente: (debito totale nell'anno di fine mandato - debito totale nell'anno di inizio mandato) / debito iniziale dell'anno di inizio mandato Orologi del debito In molte città americane, ma principalmente a Times Square, la piazza centrale di New York City, ci sono orologi che segnano il valore del debito puntuale americano — strumenti elettronici che ogni secondo segnano il valore del debito dovuto dal governo americano ai suoi creditori. Alcuni di questi orologi tentano anche di segnalare il debito pubblico dovuto procapite da ogni persona o da ogni famiglia americana. Visto che esiste un significante livello di fluttazioni giornaliere, sia verso l'alto che verso il basso, ogni "orologio" deve essere continuamente aggiornato per mostrare il valore corretto. Il più famoso di questi orologi sul debito è collocato in Times Square a New York City ed è stato creato da Seymour Durst. L'orologio è ora proprietà del figlio Douglas Durst. L'orologio di Durst è stato disattivato nel 2000 quando il debito aveva iniziato a diminuire. Comunque, a seguito dell'enorme crescita nello stock di debito degli ultimi anni, l'orologio è stato riattivato negli anni seguenti, sebbene fosse stato spostato nel frattempo per fare posto all'One Bryant Park. (E' interessante notare come, sulla base di interviste effettuate a molti "uomini della strada" la sensazione fosse quella che, a seguito della disattivazione dell'orologio elettronico, il debito fosse stato eliminato, quando in realtà rimaneva ben oltre i 5 mila miliardi di dollari.) Secondo l'opinione di Durst il debito pubblico sta ora crescendo ad un livello tale che il suo orologio diverrà obsoleto (per mancanza fisica di numeri a disposizione) quando il debito raggiungerà la cifra di 10 mila miliardi di dollari, cosa che è attesa entro i prossimi due anni. Serie Storica del debito americano Per finire vi riporto anche i dati relativi alla serie storica in valore assoluto del debito pubblico americano, come da ultimi dati ufficiali disponibili. Da questa serie storica è possibile vedere chiaramente come i due periodi di crescita esponenziale del debito siano stati gli anni compresi tra il 1987 ed il 1992, ovvero la presidenza di Bush padre, ed il periodo tra il 2002 ed oggi, vale a dire la presidenza di Bush figlio. Ultimo dato Ammontare : 11/05/2006 $ 8.357.988.734.259,29 Maggio 2006 04/05/2006 $ 8.355.169.281.082,87 Mesi precedenti 28/04/2006 $ 8.355.718.074.718,49 31/03/2006 $ 8.371.156.293.376,33 31/10/2005 $ 8.027.123.404.214,36 Anni fiscali precedenti 30/09/2005 $ 7.932.709.661.723,50 30/09/2004 $ 7.379.052.696.330,32 30/09/2003 $ 6.783.231.062.743,62 30/09/2002 $ 6.228.235.965.597,16 28/09/2001 $ 5.807.463.412.200,06 29/09/2000 $ 5.674.178.209.886,86 30/09/1999 $ 5.656.270.901.615,43 30/09/1998 $ 5.526.193.008.897,62 30/09/1997 $ 5.413.146.011.397,34 30/09/1996 $ 5.224.810.939.135,73 29/09/1995 $ 4.973.982.900.709,39 30/09/1994 $ 4.692.749.910.013,32 30/09/1993 $ 4.411.488.883.139,38 30/09/1992 $ 4.064.620.655.521,66 30/09/1991 $ 3.665.303.351.697,03 28/09/1990 $ 3.233.313.451.777,25 29/09/1989 $ 2.857.430.960.187,32 30/09/1988 $ 2.602.337.712.041,16 30/09/1987 $ 2.350.276.890.953,00 Puoi scaricare il file in pdf QUI Fonti: 1) Wikipedia versione americana 2) Sito web dell’Ufficio del Debito Pubblico del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America 3) Sito web dell’Ufficio per il Bilancio del Congresso degli Stati Uniti d’America |