News: IL FANTASCENSORE
(Categoria: STORIA/CULTURA)
Inviato da ferocibus70
venerdì 31 ottobre 2008 - 12:57:47

Demetrio Saranda mi ha mandato un racconto che a me è piaciuto davvero. Perciò ve lo propongo.
Tra fantasia e realtà dipinge il brutto tempo che stiamo vivendo.
Lo potete leggere sotto, oppure scaricare QUI

g.g 31/10/08



IL FANTASCENSORE 

di Demetrio Saranda    

È da aprile che ho smesso di leggere giornali, di guardare i telegiornali e le trasmissioni di cosiddetto approfondimento politico. Quelle rare volte che la TV è accesa in casa mia e mi imbatto in un sedicente giornalista televisivo, in quei pochi secondi che intercorrono tra la sua indesiderata apparizione ed il momento in cui cambio canale, ho la netta sensazione di sentire la voce dello speaker di quei filmati di propaganda anteguerra che presentava le miserie di quell’Italia come grandi meraviglie, le nefandezze e le cazzate del regime come grandi conquiste della Nazione, il razzismo come patriottismo ecc.: diamo 5 miliardi di euro alla Libia per farne rientrare una parte nelle tasche di alcuni imprenditori italiani amici del governo (accordo storico con la Libia per impedire lo sbarco dei clandestini!), regaliamo l’Alitalia a 18 speculatori (la compagnia di bandiera resta Italiana!)… demoliamo la scuola pubblica per favorire quella privata e cattolica e per creare un popolo più ignorante e più facilmente condizionabile (risparmiamo sulla spesa pubblica e facciamo lavorare le maestre che come tutti gli statali rubano lo stipendio!) e via dicendo.

Stamattina, come ogni mattina, prima di andare su in reparto, mi fermo al bar dell’ospedale e prendo il caffè. Non ho voglia di passare accanto all’edicola per non essere costretto a leggere i titoli di prima pagina nei quali la propaganda è ancora più aggressiva. Così faccio un altro percorso: prendo un corridoio interno che mi porta ugualmente nel mio reparto, in Urologia, passando accanto alle cucine dove già dal primo mattino si inizia a preparare per il pranzo. Sono investito dagli odori che vengono fuori dai pentoloni. Chissà perché la somma di tanti buoni odori debba dare come risultato delle esalazioni nauseanti! Ogni mattina faccio questa stessa identica riflessione, nel senso che è un pensiero riflesso, involontario. E sempre di riflesso do la colpa di questo mio martirio mattutino a quest’aprile maledetto in cui milioni di irresponsabili insieme ad alcune migliaia di profittatori sono andati a votare per eleggere una banda di pregiudicati, piduisti, fascisti, amici di mafiosi, corrotti, concussi e concussori, con avvocati al seguito. Sto per arrivare davanti all’ascensore e penso al mio obiettivo di questo capodanno. Ogni anno a capodanno mi propongo di eliminare, o almeno migliorare, uno dei miei difetti o dei miei comportamenti negativi, o comunque di raggiungere un obiettivo importante. Per dare un’idea: il 1 gennaio del 1984 ho deciso che non dovevo più farmi più seghe ed ho ottenuto un notevole miglioramento. Nel 1988 ho smesso di fumare. Nel 1989 ho iniziato a fare jogging. Nel 1992 ho deciso che dovevo laurearmi e ci sono riuscito. Entro il 2003 volevo sposarmi e mi sono sposato. Nel 2004 sono diventato vegetariano.
Il requisito fondamentale di questi solenni giuramenti fatti a me stesso è che devono avere un carattere permanente. Cioè ancora oggi sono laureato e sposato, non fumo sigarette, sono vegetariano e mi faccio un numero di seghe infinitamente minore rispetto al 1983.

Davanti all’ascensore penso al capodanno scorso e a quando ho deciso che da quest’anno sarei dovuto diventare un “risparmiatore di energia”: spegnere tutte le luci inutili ed il computer al termine della seduta di lavoro, utilizzare la macchina il meno possibile e soprattutto non prendere mai l’ascensore. Tutto fatto… fino ad aprile.
Dapprima la vittoria elettorale della pidue mi ha tolto l’entusiasmo, poi ho sentito di nuovo parlare di energia nucleare, del protocollo di Kyoto come di una scemenza utopistica scritta da un manipolo di visionari e ho deciso che mandavo tutto al diavolo. Adesso prendo l’ascensore sempre, anche per salire al secondo piano… vaffanculo!

Arrivo in reparto, sono di guardia: devo fare il giro in corsia, le urgenze che mi manda il Pronto Soccorso e le consulenze urologiche che richiedono gli altri reparti.

-    Dottore! C’è una consulenza urgente richiesta dalla Medicina Interna. Non riescono a mettere un catetere. Il paziente non urina da dieci ore ed ha molto male – mi annunzia un’infermiera.
Prendo la richiesta di consulenza, alcuni cateteri in dotazione solo all’Urologia e vado. Mentre mi dirigo verso l’ascensore penso che in fondo sono un buono perché, per chiunque abbia votato quel paziente in aprile, io lo salverò dallo scoppio della sua vescica.
Mi accingo a salire al sesto piano, dove si trova la Medicina Interna e stranamente l'ascensore è libero, con le porte spalancate, senza la solita ressa di persone, metà delle quali di solito non sa dove andare e ridiscende smarrita per poi vagare all’interno dell’ospedale. Insomma, quell'ascensore, stamattina, sembra proprio che aspetti me. Entro dentro e le porte si chiudono con inusuale rapidità, senza lasciarmi il tempo di selezionare il piano 6.
All’improvviso tutto l’ascensore cominciare a vibrare prima leggermente poi sempre più intensamente, come uno stimolatore erotico. Subito dopo, una luce intensa si diffonde dentro quella scatola metallica mentre una voce femminile, soave e delicatamente nasale, mi invita a pigiare il tasto 10. Balbetto che in quest’ospedale ci sono solo 7 piani ma la voce, diventando ancora più seducente, mi rivela la vera funzione di quei nuovi e sconosciuti tasti: pigiando il 10 sarei uscito dall’ascensore nel 2018: esattamente 10 anni dopo.

Senza capire cosa stia facendo pigio sto tasto.
Una vibrazione più forte, una luce accecante e poi uno scossone. L’ascensore si ferma e si aprono le porte. Esco.
Il corridoio è quasi lo stesso… ma non so… sembra diverso da com’era cinque minuti fa. Non sarà vero che sono stato catapultato nel 2018?
Penso di fermare uno che passa e di chiedergli che anno è, ma poi ci ripenso: mi prenderà per pazzo.
Allora ho una trovata geniale.

-      Scusi, so che le sembrerà una domanda strana, ma lei sa in che anno sono i prossimi mondiali di calcio?
-   Quest’anno! – risponde quello con l’espressione di chi si è già rotto le palle.
Non mi ha detto l’anno ma c’è in ogni caso qualcosa che non quadra.
Gli ultimi sono stati nel 2006 e, con grande culo, li abbiamo vinti. Quindi non dovrebbero essere quest’anno ma nel 2010.
A me del calcio non me ne frega niente, ma i mondiali…

-   Scusi, e i prossimi? – insisto.

Mi guarda, vorrebbe mandarmi a cagare, poi evidentemente pensa che sono un scemo ed ha pietà.

-    Fra quattro anni!

-     Cioè, in che anno?

-     Nel 2022! – urla. E poi, siccome anche la pietà ha un limite, aggiunge – Deficiente!
-   Grazie! – rispondo io, tra lo stupore e il terrore. Sono davvero nel 2018! E adesso?
Vago per l’ospedale.
Mi sento smarrito ma sono preso dalla curiosità di passeggiare nel futuro: mi aspetterei di trovare tutto più nuovo, più bello e più… tecnologico. Nulla di tutto questo. Innanzitutto c’è sempre la gente che vaga per i corridoi ma, tutto sommato, è vestita quasi allo stesso modo di 10 anni fa, solo che gli abiti sono più vecchi, più laceri e sdruciti.
Mi viene in mente che potrebbe essere una di quelle giornate che di tanto in tanto si organizzano negli ospedali per la prevenzione di qualche malattia: tipo “il cancro della mammella” e allora vedi tante giovani donne che vanno a farsi palpare le tette, “l’ipertrofia prostatica” e accorrono gli ultracinquantenni  a farsi mettere un dito nel sedere.
Ma che razza di giornata può essere questa, se ad affluire in ospedale sono solo dei poveri disgraziati?
Forse la giornata della prevenzione della “povertà” e sono accorsi tutti gli straccioni?!
Mi affretto a raggiungere il mio reparto. Non lo trovo. Cerco “Unità operativa di Urologia” o “Reparto di Urologia”, insomma la parola urologia che però non sembra scritta da nessuna parte. Poi mi accorgo che non c’è scritto nemmeno “Otorinolaringoiatria”, né “Dermatologia”, né “Ginecologia” e via discorrendo. Man mano che vado leggendo le scritte sbiadite su cartelli malmessi mi rendo conto che qualcosa di grosso dev’essere successo negli ultimi anni.
Le scritte che indicano i reparti sono lunghe ed inquietanti: “Primo soccorso per patologie urologiche acute”.
Cacchio, è difficile andare ad individuare qualcosa di attinente all’urologia in mezzo a quello sproposito. Le altre erano ancora più tetre: “Emergenze dermatologiche traumatiche o altamente invalidanti”, “Soccorso ginecologico per patologie acute ad altissimo rischio o emorragie genitali gravi e fortemente anemizzanti”.
La scritta che dovrebbe indicare qualcosa che assomigli all’ortopedia recita queste ridicole parole: “Rotture di femore in ultraottantenni”.
Finalmente riesco a trovare questo “Primo soccorso urologico…”: una porta, un ambulatorio fatiscente, un’infermiera obesa e un medico dimesso, quasi ingobbito, dagli anni e dalle frustrazioni.
Riconosco uno dei miei colleghi del 2008: invecchiato di 10 anni, naturalmente, in viso, e di 30 nell’espressione. Appena mi vede, si stranisce:
- E tu che ci fai qui? – mi chiede.
Non so cosa rispondergli perché non ho idea se ancora lavoro in questo posto oppure ho cercato fortuna altrove (che è la cosa che mi auguro, data la depressione che mi ha causato la vista di tanta decadenza).
Farfuglio: - Passavo di qua e… E tu?

Evinco dalle cose che mi racconta che lui è l’unico rimasto della vecchia guardia. Gli altri, me compreso, adesso lavorano nella nuova clinica. Quale clinica?
Non oso chiedere a lui dove si trovi il mio posto di lavoro. Lo lascio parlare: ha voglia di raccontare e capisco che non ci siamo incontrati spesso negli ultimi tempi.
Bene – penso – mi dirà tante cose.
La nuova megaclinica privata sorge sulla collinetta dove prima atterravano gli elicotteri dell’elisoccorso, proprio di fronte all’ospedale.
Ha tre piani, la facciata color fucsia ed una vetrata centrale che lascia vedere un atrio enorme e le scale che portano ai piani. Tutto intorno alberi, siepi, aiuole e fontane.
Il nome? S. Giovanni, ovviamente: “Ospedale S. Giovanni” (in onore del Patrono della città), ma in realtà S. Giovanni è solo un santo-prestanome. Il vero proprietario è S. Raffaele (il Santo che già alla fine del secolo scorso ha fatto affari d’oro a Milano ed in tutte le sue appendici nel resto d’Italia).
Ma adesso è l’istituzione sanitaria per eccellenza. L’ospedale pubblico, si occupa delle emergenze e di tutte le altre prestazioni sanitarie poco redditizie dal punto di vista economico: i reparti più importanti sono infatti il Pronto Soccorso, la Rianimazione, la Geriatria e la Lungodegenza.
Porc…!
Ce l’hanno fatta a privatizzare tutto (tutto quello che rende naturalmente!).
Mi viene una gran voglia di infilarmi di nuovo dentro l’ascensore magico e ritornare al 2008 per cercare di fare qualcosa perché la storia non vada a finire così.
Il disappunto più grande lo provo nell’aver appreso che anch’io sono andato a lavorare per loro. Mi sono venduto anch’io, cacchio! Poi penso che avevo due bimbi ancora piccoli qualche anno fa e che forse non mi avevano lasciato alcuna alternativa. Arrivo all’ascensore, trafelato, ansioso di ficcarmici dentro al più presto possibile… Porc…!
Un cartello sbilenco con la scritta a mano “GUASTO” mi sbarra la strada e mi blocca in questo futuro di merda. E quella stronza dalla voce sensuale che mi ha messo in questo casino dove sarà andata a finire?
Decido di avviarmi verso l’uscita quando l’occhio mi cade su un giornale spiegazzato abbandonato su una sedia priva di spalliera.
Non resisto alla tentazione di leggere cosa sta accadendo nel mondo. Non riesco a trovare la prima pagina, o meglio, penso che il foglio che contiene la prima, la seconda, la penultima e l’ultima pagina sia andato perduto.
Ma poi mi accorgo che sulla pagina che ho davanti agli occhi campeggia in alto a destra un numero 1: è la prima pagina. Poco sotto, al centro, a caratteri piccoli leggo “IL GIORNALE D’ITALIA”-quotidiano unico della stampa italiana riunita – Anno di fondazione 2012.

La prima notizia: fervono i preparativi per la celebrazione del secondo anniversario della scomparsa del Presidente. Presidente chi? Napolitano sarà già morto da un pezzo e, comunque, nel 2018 non sarebbe stato più presidente da alcuni anni.
Un lampo mi illumina gli occhi: lui!... è morto due anni fa!
La gioia si trasforma in amara delusione: solo due anni fa?
Vuol dire che è rimasto in vita fino al 2016 ed è anche diventato Presidente?

Sfoglio freneticamente il giornale unico della stampa italiana riunita ma non riesco bene a capire dai titoli di cosa si parli. Vado allora sulla pagina locale: in testa, Gran concerto d’Estate in Piazza Benito Mussolini; di spalla, Marina Berlusconi inaugurerà il Museo degli orrori della guerra partigiana e comunista “Ignazio La Russa”.
Riesco a trattenere un irresistibile conato di vomito solo pensando che almeno quel fascista catanese doveva esser passato a miglior vita (migliore per noi, s’intende) per intitolargli un museo.

Ritorno indietro per cercare i nomi di chi ci governa in questo schifosissimo 2018.
Mi fermo su un articolo sol perché la colonna si trova a fianco di una foto di un aeroplano.
Leggo solo l’inizio e mi basta: il vettore unico operante in Italia, Lufthansa, decide di tagliare altre sette tratte improduttive…
Chissà che fine avranno fatto i 18 patrioti che salvarono la compagnia di bandiera? Una blanda soddisfazione accarezza il mio stomaco nauseato: lo sapevo io che quei truffatori avrebbero venduto subito per guadagnarci! Proseguo nella lettura.
Ormai riesco a districarmi in quel formato editoriale monotono e uniforme:

Abbassato ulteriormente l’obbligo scolastico a 12 anni…

Vietate le celebrazioni del cinquantenario del ’68…

Negata la grazia a Michele Santoro…

Chiesta l’estradizione alla Francia per Marco Travaglio…

Marina Berlusconi alza la Coppa con le lacrime agli occhi, guardando in cielo…

A otto anni dalla sua scomparsa ancora si discute: forse fuggito in Spagna Antonio di Pietro…

6 anni fa la Romagna liberata dalla dittatura comunista. A Predappio i festeggiamenti…
Il Governo assicura: almeno un pasto caldo al giorno a tutti gli operai…


Con gli occhi lucidi di dolore e di rabbia appallottolo il giornale unico della stampa italiana riunita, mi guardo intorno alla ricerca di un cestino ma neanche a parlarne… Lo butto sul pavimento già pieno di cartacce… Prendo le scale, scendo di corsa vedo l’uscita e per poco non mi spiaccico sulla porta a vetri che non si apre automaticamente perché guasta. Un tizio seduto su una sedia poco distante con una sigaretta in bocca, dando un ultimo tiro profondo, mi chiede con parole fumanti:
“E’ proprio sicuro di voler uscire?”

- 
Sì, mannaggia, come si fa a stare in questo posto?
-  
Guardi che fuori è peggio!
-  
Ma io non voglio andare fuori, voglio andare “prima”.
-   
Prima quanto?
-    
Dieci anni fa.
-    
Nel 2008? – mi fa lui.
-      Esattamente!
-     
Non basta. Anche se ritorna indietro di dieci anni, non le serve a un bel niente. Se vuole fare qualcosa di utile per evitare tutto questo, deve tornare indietro di almeno 25 anni.
-   
No, io voglio tornare dalla mia famiglia, dai miei figli. 25 anni fa loro non c’erano nella mia vita e non so se riuscirei di nuovo ad incontrare mia moglie, a farla innamorare di me e a fare in modo di far nascere i miei figli proprio così come sono. Il tizio butta la sigaretta in terra e la spegne schiacciandola sotto una scarpa.
Poi si alza e mi viene incontro.

-  
Solo dieci anni?
-  
Sì, solo dieci anni, e per l’esattezza voglio ritornare al primo ottobre 2008. Qualcosa farò. Qualcosa devo fare.
-   
Allora venga con me. Mi prende sottobraccio e mi conduce davanti alla toilette pubblica.
-  
Entri dentro e chiuda a chiave – mi ordina.
-   
Dentro la toilette?
-     Sì, dentro il cesso! Buon viaggio e… la scongiuro, faccia qualcosa!
Entro dentro la toilette degli uomini (non si sa mai!) e blocco la porta. All’improvviso sento l’acqua del water ribollire e poi lentamente venire su fino a rigurgitare dalla tazza, inondare il pavimento portando con sé liquami di varia natura, ma prevalentemente merda e piscio.
La melma putrida è già giunta alle ginocchia quando allungo le mani in direzione della maniglia.
Poi mi ritraggo pensando che forse è questa l’unica via per ritornare al 2008.
Quando ormai la merda mi è arrivata fino al collo sento di nuovo la voce di quella zoccola dell’ascensore: “Vuoi davvero ritornare indietro nel tempo?”
“Sì, grande stronza che non sei altro!”
“Allora pronunzia la formula magica”
“Quale cacchio di formula magica?”
L’Italia è un Paese di merda!
“OK. L’Italia è un Paese di merda!”.

Come d’incanto il liquame si prosciuga, apro la porta e mi ritrovo nell’atrio dell’ospedale al primo di ottobre del 2008. Certo, non sono proprio profumato. Annuso la mia divisa ospedaliera e puzza proprio di merda anche se apparentemente è pulita. Cerco di schivare le persone che mi vengono incontro e di passare il più possibile lontano da loro. Ad un certo punto avverto una mano poggiarmisi sulla spalla sinistra.
Mi volto ed è lo stesso tizio della sigaretta che con un mezzo sorriso mi dice: “Non stia a preoccuparsi. Siamo tutti nella merda, ma lei è uno dei pochi ad accorgersene. Agli altri sembra di essere su un prato di viole. Sentono solo profumo”.
   

Fine



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