Il brano sotto è stato letto da Renato Calapso a Messina, in occasione del 25 aprile. Condivido la visIone. Il diritto alla resistenza è sacrosanto. Ed appunto come disse anche il procuratore Francesco Saverio Borrelli, nell'Italia di oggi c'è necessità, per chi crede nei valori costituzionali dell'antifascismo di "Resistere, resistere, resistere",io aggiungo con ogni mezzo. Resistere contro l'ondata della destra che avanza e il berlusconismo che vuole stracciare la carta costituzionale nata dalla resistenza e fondare una monarchia. Contro l'idiozia ed il falso dell'equiparazione tra repubblichini e partigiani. Contro il tentativo di legittimare il saluto romano e forze neofasciste come Forza nuova gg 1/5/09 |
“Noi riteniamo che …tutti gli uomini sono stati creati uguali, che il Creatore ha fatto loro dono di determinati inalienabili diritti….che ogni qualvolta una determinata forma di governo giunga a negare tali fini, sia diritto del popolo il modificarla o l’abolirla, istituendo un nuovo governo che ponga le basi su questi principi…Allorché una lunga serie di abusi e di torti…tradisce il disegno di ridurre l’umanità ad uno stato di completa sottomissione, diviene allora suo dovere, oltre che suo diritto, rovesciare un tale governo…”. Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 5 luglio 1776 ”Lo scopo di ogni società è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà e la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”. Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 “La resistenza all’oppressione è la conseguenza degli altri diritti dell’uomo” "Quando il governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo il più sacro dei diritti ed il più indispensabile dei doveri”. Costituzione francese del 1793 .33 e 35 Che cosa è il diritto di resistenza? Qualcosa di estremamente elementare, primario, istintivo e insieme di miracoloso. Primario perché è nella intuitiva consapevolezza di ogni uomo l’esigenza di ribellarsi a un potere ingiusto, dispotico, violento e illegittimo. Miracoloso perché nulla è più fragile della cognizione della dignità umana su cui tale diritto evidentemente si fonda, nulla di più tenace ma insieme nulla di più facile da dimenticare. Chi reagisce a un potere dispotico e illegittimo reagisce in condizioni di inferiorità, reagisce talora in condizioni disperate, reagisce superando mille difficoltà palesi e subdole, evidenti e sottili. Così reagirono e si ribellarono coloro i quali presero le armi contro l’invasore nazista dalla tarda estate del 1943 al giorno meraviglioso che qui oggi celebriamo, il 25 Aprile 1945, nel quale fatidico giorno a costoro arrise una esaltante, radiosa vittoria. Proprio per questo non è possibile né sensato attribuire ad essi o a questo giorno che è ancora profondamente nostro, il senso o il segno di una ideologia particolare, di un particolare orientamento politico. Certo nell’esperienza e nella pratica di lotta dei resistenti le idee e le ideologie non furono cancellate, ma convissero con sostanziale armonia nella lotta comune. Del resto il marxismo dei comunisti e socialisti, il cristianesimo sociale dei cattolici, il liberalismo dei monarchici e dei repubblicani, si legarono in una concordia discorde che fu patto politico, certo, ma poi soprattutto fertile esperienza culturale: da cui nacque il frutto non sincretico ma armonico della nostra costituzione. Questo è un fatto, un fatto che nessuno può contestare. Ma da cosa nacque, da cosa scaturì una tale inedita e sorprendente concordia, una così difficile consonanza? Da un’esigenza comune, scritta proprio nel concetto pre-giurico e pre-politico di resistenza: Sì, perché un popolo intero sentì in quei giorni da Cefalonia a Lero, da Torino a Milano a Napoli che per prima da sola si liberò, ai paesi dell’Appennino, dal Canavese a alla Liguria, che non si trattava di vincere una battaglia di parte, ma si trattava di ristabilire la dignità umana, l’umanità stessa. Si trattava di combattere una battaglia comune per i diritti elementari dell’uomo, contro il mostruoso prodotto storico che li aveva così ferocemente e consapevolmente negati. Parlo naturalmente del nazismo, la cui religione del male si proponeva di sradicare interamente l’idea stessa dei “diritti umani”, intesi come debolezza e pervertimento e ristabilire un inflessibile dominio dei razzialmente puri e dei forti, in odio in ispreto della tradizione umanistica, illuministica, romantica della eguaglianza, della libertà e della fraternità. Chi riaffermò questo nuovo umanesimo, queste antiche parole di cui sembrava essersi perso anche il significato? Dei gruppi di giovani, certo, ma non solo, talora in divisa, orgogliosamente portata, talora in borghese, “scalzi e laceri eppure felici”. Non furono dunque i forti a tentare di ristabilire l’umanità che pareva tramontata per sempre, a mostrarsi fedeli al senso del dovere e dell’onore che era stato loro insegnato, ma i deboli qualche volta i disperati. Talora questi ragazzi, quand’erano militari, furono guidati dai loro ufficiali, come accadde al generale Gandin a Cefalonia, al generale Amico a Dubrovnik all’ammiraglio Campioni, Governatore del Dodecanneso. In questo caso io credo che non sia retorica ricordare il sacrificio di questi uomini e di questi soldati, a cui dobbiamo molto, moltissimo. A me talora capita di pensare che il tricolore risorgimentale ha acquisito nuovo significato dall’essere stato difeso come è stato difeso dalla divisione Acqui a Cefalonia. Noi dobbiamo moltissimo agli ufficiali italiani che vennero fucilati dai tedeschi alla casa rossa di Cefalonia, ai giovani sottotenenti che si offrirono al plotone di esecuzione cantando la canzone del piave e tenendosi a braccetto. Noi dobbiamo moltissimo a coloro che avrebbero potuto salvarsi ma strapparono in faccia ai carnefici le tessere che sarebbero state il lasciapassare per la sopravvivenza, ma al prezzo del tradimento dell’amicizia e dell’onore. Ma molti, in Italia, tradirono. Non si deve dimenticare, del resto l’atmosfera greve e feroce dell’occupazione percorsa dalla delazione e dal tradimento Corrado Govoni da Aladino Non fu un sogno. E pareva di sognare. La città, la campagna, e tutto il mondo era in preda al terrore e al tradimento. L'incubo dentro l'incubo: era questo il più terribile e infernal tormento. La notte intera si invocava il giorno; e il giorno era più torvo della notte. Un passante poteva, nel soffiarvi il suo fiato serpino dentro il collo, gridarvi a bruciapelo: "Mani in alto!" Vi aspettava la cella della morte, le barbare torture e l'assassinio. Fu così orrenda la realtà del sangue nel risveglio, che ancor vorrei sognare; e nel colmo dell'incubo nell'incubo del più folle terrore ancor tremare. Italia 1942 Ora m'accorgo d'amarti Italia, di salutarti Necessaria prigione. Non per le vie dolenti, per le città Rigate come visi umani Non per la cenere di passione Delle chiese, non per la voce Dei tuoi libri lontani Ma per queste parole Tessute di plebi che battono A martello nella mente, Per questa pena presente Che in te m'avvolge straniero. Per questa mia lingua che dico A gravi uomini ardenti avvenire Liberi in fermo dolore compagni. Ora non basta nemmeno morire Per quel tuo vano nome antico. Riscoprirsi diversi dunque, sulla base di parole antiche impronunziabili ma ancora una volta pronunziate: umanità, dignità, giustizia, libertà. 25 Aprile La chiusa angoscia delle notti, il pianto delle mamme annerite sulla neve accanto ai figli uccisi, l’ululato nel vento, nelle tenebre, dei lupi assediati con la propria strage, la speranza che dentro ci svegliava oltre l’orrore le parole udite dalla bocca fermissima dei morti “liberate l’Italia, Curiel vuole essere avvolto nella sua bandiera”: tutto quel giorno ruppe nella vita con la piena del sangue, nell’azzurro il rosso palpitò come una gola. E fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi piena la mano nel suo pugno: il cuore d’improvviso ci apparve in mezzo al petto. |