Rifiuti tossici esportati in Somalia in cambio di armi. Era su questo che stava indagando la giornalista del TG3? Lo smaltimento illegale valeva allora 15 miliardi di lire. E adesso? Dove finiscono le scorie? |
La morte di Ilaria Alpi, la giornalista assassinata a Mogadiscio nel 1994 assieme al suo operatore Miran Hrovatin, è collegata ai traffici di armi e rifiuti tossici “esportati” in Africa e in particolare in Somalia? Sono anni che in Italia giornalisti, magistrati, deputati stanno mettendo assieme innumerevoli tasselli per cercare di rispondere. Ogni tanto articoli, testimonianze inedite, sviluppi di indagini giudiziarie aggiungono nuovi elementi. Il lettore rischia di perdere le connessioni di questa intricata materia oppure rischia di “consumare” un pezzo della storia dell’Italia recente –storia che nessuno ci assicura essere finita- come se fosse la trama di un film o di un libro di spionaggio, dove chiunque può sostenere tutto e il suo contrario. Può dunque risultare utile ricostruire il lavoro di chi ha permesso che oggi si possa apertamente parlare di temi che dieci anni fa in pochi osavano sussurrare. Vi sono tre tipi di “fonti” che riguardano i traffici relativi alla Somalia: le inchieste giornalistiche, i lavori delle Commissioni di inchiesta parlamentare, le indagini della magistratura. Il lavoro dei giornalisti Tesi ufficiale: Ilaria Alpi è stata ammazzata perché in un contesto di violenza diffusa –che però molti ancora si rifiutano di chiamare guerra- si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Ilaria Alpi è stata ammazzata perché indagava su segreti che dovevano essere custoditi a qualsiasi costo: tesi sostenuta da molti colleghi di Ilaria e dai suoi genitori, che in questi anni non hanno mai smesso di cercare la verità e di ricercare i mandanti. Nel 1999 Mariangela Gritta Grainer (già membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla cooperazione) e il giornalista Rai Maurizio Torrealta pubblicano per Kaos Edizioni un libro in collaborazione con Luciana e Giorgio Alpi il cui titolo non lascia dubbi: L’Esecuzione. A cinque anni dalla morte dei due giornalisti incomincia a diventare chiara l’ipotesi che i segreti che Ilaria Alpi aveva iniziato a scoprire siano il traffico di armi e il coinvolgimento di persone legate alla (mala) cooperazione allo sviluppo (spesso citata come esempio negativo la strada che in Somalia collega Garoe a Bosaso, realizzata dalla cooperazione italiana e terminata nel 1990 con un costo di 260 miliardi di lire). Nel frattempo tre giornalisti di “Famiglia Cristiana” –Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari- iniziano a scrivere e pubblicare una serie di articoli, firmandoli sempre congiuntamente, per delineare un quadro ancora più complesso ed inquietante: il traffico d’armi dall’Italia verso la Somalia in cui sono coinvolti anche i servizi segreti militari italiani è collegato –anzi, per certi aspetti ne costituisce una forma di pagamento- al traffico internazionale di rifiuti tossici che spesso finiscono proprio in Somalia. Questi articoli vengono in parte raccolti in un libro, pubblicato nel 2000 da Baldini e Castoldi : Ilaria alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici. Il libro è una lettura per molti aspetti imprescindibile, anche perché ricorda tante, troppe morti sospette che hanno avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la Somalia. (Tra questi morti si deve ricordare almeno un nome, quello di Vincenzo Li Causi –appartenente ai servizi di intelligence dell’esercito- ucciso a Mogadiscio nel novembre 1993). Armi e rifiuti: per gli autori si tratta dell’aspetto centrale, perché i traffici di armi e rifiuti sarebbero avvenuti attraverso le medesime organizzazioni, soprattutto dal punto di vista logistico. Il lavoro dei tre giornalisti (che presuppone un impegno e uno sforzo anche da parte delle redazioni e della direzione probabilmente assai rilevanti) continua tutt’oggi. In esso hanno avuto un peso determinante le rivelazioni di quello che si potrebbe in un certo modo chiamare “un pentito”, Giampiero Sebri, ascoltato nell’ottobre del 2004 anche dalla Commissione parlamentare che indaga proprio sulla morte di Ilaria Alpi. La sua testimonianza rimanda all’Italia della seconda metà degli anni Ottanta, alla cosiddetta malacooperazione allo sviluppo e al giro di tangenti ad esso collegato. Sempre nel 2002 esce un altro libro, in parte autobiografico: Somalia. Crocevia di traffici internazionali di Germana Leoni von Dohnanyi e Franco Oliva (Editori Riuniti) che presenta ipotesi e spunti inquietanti. Che quello dello smaltimento dei rifiuti tossici sia un grande affare in parte anche gestito da organizzazioni criminali paragonabili sempre più a imprese transnazionali è una tesi sostenuta da ormai non pochi giornalisti (e anche da organizzazioni ambientaliste). Ricordiamo la ricostruzione a cura del mensile specializzato “Narcomafie”, gennaio 2004. Infine due articoli di Riccardo Bocca pubblicati dal settimanale “L’Espresso”: uno a metà dicembre(“Intrigo Rosso”, titolava la copertina) relativa alle indagini sulla motonave Rosso arenatasi nel 1990 a Formiciche (Cosenza), l’altro poche settimane fa sul “filo invisibile che lega Mogadiscio a Reggio Calabria”. Le inchieste dei magistrati La giustizia italiana finora ha individuato e condannato un solo responsabile per la morte dei due giornalisti. Si tratta di Hashi Omar Hassan, l’autista somalo dell’auto su cui viaggiavano gli assassini, arrestato nel gennaio 1998 mentre si trovava in Italia per testimoniare sulla vicenda. Non manca chi, come i coniugi Alpi, ritiene che Hasci Omar Hassan, sia stato anche una vittima sacrificale, un colpevole trovato senza cercare eventuali mandanti. Assolto in primo grado nel 1999, è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise d’appello di Roma nel novembre 2000. Il suo principale accusatore è Sid Ali Abdi, l’autista dei due giornalisti, morto a Mogadiscio nel settembre 2002 in circostanze non del tutto chiarite. In questo anni molte indagini (o spezzoni di indagini), che riguardavano soprattutto il traffico di armi e che in più occasioni hanno avuto a che fare con la Somalia, si sono intrecciate e rincorse in tutta Italia, da Asti a Udine, dalla Liguria alla Calabria, senza arrivare a processi risolutivi. Quest’anno si dovrebbe concludere l’inchiesta del sostituto procuratore Francesco Greco relativa all’affondamento di navi sospettate di trasportare rifiuti tossici. In questa così come in altre inchieste vi sono forti sospetti sul ruolo di alcuni faccendieri italiani e del signore della guerra somalo Ali Mahdi. Il lavoro dei deputati Una Commissione monocamerale d’inchiesta sull’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sta lavorando da gennaio 2004, presieduta da Carlo Taormina. I lavori sono iniziati con l’audizione di Luciana e Giorgio Alpi. Le audizioni sono tanto interessanti quanto spesso frammentarie (e, in parte, finora coperte da segreto). Di certo si tratta di un’occasione quantomeno rara per arrivare a rendere pubblico un quadro il più possibile preciso del contesto in cui maturò l’assassinio di Ilaria Alpi, se non addirittura di ricostruirne la dinamica e individuarne i mandanti. Sul sito internet della Camera è possibile seguirne i lavori, così come quelli della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, presieduta da Paolo Russo. Si devono inoltre citare i lavori della Commissione d’inchiesta parlamentare sulla cooperazione allo sviluppo che fu però costretta a interrompere i lavori con la caduta del governo Prodi senza poter presentare la relazione finale. I governi successivi non hanno ritenuto opportuno rinnovare la Commissione. Infine va ricordata la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti presieduta da Massimo Scalia, la cui relazione finale, presentata nel 2000, già avvertiva che lo smaltimento illegale in italia interessava un terzo del totale dei rifiuti, un affare criminale stimato in 15 miliardi l’anno, con una perdita da parte dello Stato di 2 mila miliardi in tasse non pagate: già vi sono alcuni riferimenti a presunte esportazioni illegali in Africa. Il ruolo dei servizi segreti Fulvio Vezzalini nel marzo 1994 era capo ufficio della missione dell’intelligence della missione Onu in Somalia, oggi è un generale dell’esercito italiano in congedo. Ascoltato dalla Commissione d’inchiesta a inizio dicembre, già un anno fa aveva dichiarato al mensile “Nigrizia”: “in Somalia si poteva andare per alimentare un commercio più o meno lecito di armi e soprattutto di munizionamento. E’ normale pensare a simili traffici(…) E’ un ipotesi verosimile che Li Causi fosse in qualche modo collegato al traffico di armi e munizioni(…) E’ molto probabile che ci siano stati grossi stoccaggi di rifiuti tossici di ogni genere proveniente dall’Europa nel Nord desertico della Somalia, in cambio di dollari o direttamente di armi. Alcune fonti a Mogadiscio mi avevano confermato la possibilità di realizzare cifre molto alte nel trasporto di sostanze pericolose”. Al tempo stesso Vezzalini prende le distanze da queste ipotesi dichiarando che “al tempo della missione Unosom però questi movimenti di rifiuti tossici e di armi erano movimenti ‘coperti’ in altro modo e passavano inosservati. Forse a livello governativo qualcuno era a conoscenza del quadro generale: a livello operativo sicuramente no”. Francesco Neri, sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria, che aveva indagato sugli affondamenti sospetti di navi nel Mediterraneo, secondo “L’Espresso” ha dichiarato: “Lo stesso sismi rimase spiazzato dagli elementi probatori che acquisimmo durante le perquisizioni” e “il Sismi ha collaborato molto con noi”. A rischio di incorrere in una tautologia, occorre ricordare che le informazioni in possesso dei servizi segreti non sono pubbliche. I due esempi citati sono sufficienti però per poter dire che il grado di collaborazione dei servizi di intelligence con la magistratura ed eventualmente con membri della Commissione di inchiesta parlamentare è in qualche modo anche legato alla volontà politica dell’esecutivo di rendere pubblici i dettagli di un contesto così inquietante; questa volontà politica in qualche modo risente o dovrebbe risentire anche delle aspettative, più o meno forti, organizzate e circostanziate, dell’opinione pubblica. Quanto e come siano cambiati i servizi segreti in Italia negli ultimi quindici anni e su cosa essi stiano lavorando oggi in Somalia sono invece domande che potrebbero aiutare a delineare molti aspetti della vicenda Alpi, ma le cui risposte probabilmente esulano dai confini della vicenda stessa. Silenzio somalo A rendere ancora più intricato il tutto vi è la situazione della Somalia, Paese simbolo del fallimento degli sforzi della comunità internazionale di ristabilire pace e vivibilità. A Mogadiscio non esiste un potere centrale in grado di assicurare non tanto collaborazione nelle indagini, ma nemmeno le garanzie minime di sicurezza: giornalisti, membri del parlamento e magistrati non possono recarsi in Somalia se non a costo di rischi, anche di incolumità personale, pressoché insostenibili. Eppure se nel silenzio che circonda il traffico di armi e di rifiuti tossici in Somalia, una voce è più silenziosa di altre, è proprio quella dei somali. Mancano testimoniane, analisi, documenti. Chi e quando fra i somali, potrà avere interesse (anche concreto) a svelare almeno una parte di questa storia? Il 20 marzo sono 11 anni: le morti di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non devono restare un altro dei “misteri d’Italia”; non solo per onorare il loro lavoro e lo straordinario esempio di impegno civile nel rispetto delle regole testimoniato in tutto questo tempo da Giorgio e Luciana, i genitori della giornalista, ma anche perché la società civile italiana deve sapere quanto riguarda il traffico di armi e di rifiuti tossici. Per comprendere il nostro passato recente, certo. Ma anche per non dover rischiare di rendersi conto un domani che tali traffici sono proseguiti nel tempo. Diego Mariani (altreconomia) ILARIALAPI.IT |