Il golpe Tv di Chavez da peacereporter L'intervento di Maurizio Chierici sul mancato rinnovo della licenza a una Tv venezuelana Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha minacciato di chiudere anche la Globovision, se continuerà a incitare i telespettatori a insorgere contro il presidente della Repubblica, appellandosi al mancato rinnovo della licenza alla rete Radio Caracas Television (Rctv), che pur è stato dettato da "validi motivi". "Voglio avvertire il popolo venezuelano, i nemici della patria, specie quelli dietro le quinte. Vi chiamo per nome, Globovision. Deciderete fino a che punto spingervi, se volete, esortando alla disobbedienza, incitando all'omicidio", ha dichiarato Chavez, sottolineando che il ministro dell'Informazione William Lara ha chiesto alla procura generale di aprire un'inchiesta sui programmi di Globovision. Secondo il presidente, la rete televisiva incoraggia apertamente il suo assassinio. Intanto, in migliaia stanno manifestando contro la decisione di Chavez |
scritto da Maurizio Chierici C’è una notizia che non sembra importante, invece è importante perché le nuove generazioni possono guardare al futuro solo se informate con onestà. Niente di nuovo, ma bisogna ripeterlo perché l’antenna selvaggia tira diritto. Da lunedì mattina Radio CaracasTv non va in onda. Il governo Chavez ha tagliato la frequenza scaduta pochi giorni fa. È stata una delle televisioni che ha guidato il golpe contro Chavez nel 2002. Qualche mese dopo si è impegnata con bollettini di guerra per sostenere lo sciopero dei dipendenti della Pdvsa, società petrolifera statale di un Paese che vive di petrolio. Un modo per precipitare nel caos il presidente risorto dopo 36 ore di prigione militare; non importano le conseguenze economiche. Il Venezuela resta senza benzina, auto ferme, negozi chiusi per un mese borse e affari a picco. E la gente deve portare pazienza. Eppure ogni volta che si va a votare, il 70 per cento vota Chavez e il 30 per cento vota contro. Più o meno il rapporto tra miseria e benessere. Con populismo e demagogia (secondo l’opposizione) Chavez decide e impone con la foga di un militare in congedo. Ma se si tornasse a votare domenica, riavrebbe il 70 per cento dei consensi di chi ha voglia di sperare. La gente tocca con mano i primi cambiamenti sgraditi alle classi dominanti, come succede in ogni posto quando si rivedono i privilegi. Anche le soluzioni restano le stesse di ogni America Latina e di altri paesi che la grande economia ha colonizzato. O si eliminano le elezioni, o si torna alle vecchie abitudini care alle aristocrazie del potere e alle borghesie satelliti cresciute attorno: vogliono rispetto per il censo e tolleranza zero verso le classi emarginate e maleducatamente inquiete. Allora Chavez ha fatto bene? Chavez ha sbagliato. Non si spegne mai la voce di chi informa. In Italia è successo negli anni di Berlusconi: licenziati dalla Rai Biagi e Santoro colpevoli di testimoniare ogni realtà. Ma in Italia l’essere scacciati dalla Rai in obbedienza al proprietario Mediaset, azienda concorrente all’ente di Stato, voleva dire sparire per l’intera durata di un governo presieduto dal proprietario Mediaset, riesumazione elettronica dell’antico confino fascista. Cesare Pavese, Carlo Levi e ogni intellettuale o piccolo italiano che non sopportavano il regime, sono stati deportati in paesini sperduti dell’Italia senza strade, o chiusi a Lipari o in altre isole, come Pertini e i padri della democrazia. Dovevano tacere. Il dolore dei loro diari è arrivato alla gente dopo la caduta di Mussolini. Chavez ha sbagliato anche perché RadioTvCaracas stava aspettando il giudizio dell’Alta Corte alla quale ha fatto appello. Giudizio arrivato a poche ore dalla chiusura delle frequenze quando la nuova Tv di stato era ormai pronta a prendere il posto della Tv giubilata. Troppi sospetti per immaginare una sentenza al di sopra delle parti. Ma a differenza degli ordini di ogni uomo forte, a differenza di ciò che è capitato a Biagi e Santoro oscurati fino a quando Palazzo Chigi non ha cambiato inquilino, RadioTvCaracas può continuare a trasmettere via cavo e sul satellite. I cavi abbracciano Caracas, zone rosa, ma anche ville e palazzi e residenze della città. Il satellite arriva su ogni tetto: quasi un milione di antenne copre il Venezuela. Fino a poco fa RadioTvCaracas era la seconda potenza radio-televisiva del Venezuela. Nasce nel 1929 dal gruppo Phelps, holding alla quale partecipa la Rca, casa discografica famosa nel mondo. Nel 1936 la Phelps cambia nome diventando Radio Caracas alla quale aggiunge la Tv. Nel 1953, la dittatura del generale Jimenez ha bisogno di popolarità. Chiede un favore e i devoti non lo negano: vuol disporre di microfoni che facciano da stampella ad un regime tra i primi ad inaugurare la parola desaparecidos. Il gruppo degli eredi della vecchia Phelps è guidato da Peter Bottone, azionista di maggioranza; Marcel Garnier è l’integrante della famiglia. Come succede un po’ ovunque, Peter Bottone non fa solo l’editore. Giro d’affari largo. Fra i tanti impegni, rappresenta la holding Usa che tredici anni fa ha venduto all’aviazione militare venezuelana caccia da guerra F16, affare finito nel turbinio di uno scandalo non ancora risolto: tangenti e milioni di dollari svaniti chissà dove. Ma l’etica dei proprietari non cambia il problema. Anche se non chiude la bocca a nessuno, negare una frequenza a una televisione sul mercato è decisione che inquieta il laboratorio maleducato della democrazia venezuelana. Gli editori privati dell’opposizione (giornali, radio e Tv) controllano l’85 per cento della raccolta pubblicitaria. Portano notizie all’80 per cento dei venezuelani. Mentre si chiudeva RadioTv Caracas, venivano rinnovate le sequenze di tutte le altre concessioni private, sei Tv e 29 radio, sempre critiche verso Chavez. La legge sulle frequenze risale al 1987: l’ha voluta il presidente socialdemocratico Lusinchi "per adeguare la vita del paese alle regole della democrazia". Concede per vent’anni l’uso di un bene dello Stato, riservandosi di riconfermarlo alla scadenza "in assenza di gravi motivi". Chissà se orchestrare un golpe è grave. Restano attivi e contrari a Chavez i due colossi della comunicazione radiofonica e televisiva di una nazione dove "la maggioranza della popolazione si disinteressa delle informazioni scritte". Insomma, non legge giornali. Lo spiega al telefono Andrés Canizalez, ricercatore all’Università Cattolica Andrés Bello, una delle roccaforti antichaviste di Caracas. La Tv alla quale hanno tolto le frequenze è la seconda del paese. Il gruppo importante si chiama Venevision nelle mani di Gustavo Cisneros, comunicatore venezuelano principe nelle due americhe. È proprietario di Univision, catena radio-Tv la cui influenza diventa determinante nelle scelte della comunità latina che vota negli Stati Uniti. Qualche settimana fa ha pagato una multa di 24 milioni di dollari per aver trasmesso in ore “proibite” telenovelas non adatte ai bambini. I regolamenti Usa sono mannaie. Prevedono carcere immediato e rischio di sedia elettrica a chi invita a rovesciare il presidente votato dal popolo. Garnier e Bottone erano destinati a un’altra fine se avessero sceneggiato a Washington gli attacchi della Caracas 2002. Con Roberto Marinho, proprietario della Rede Globo brasiliana, Murdoch (Cnn) ed Emilio Azcarraga, miliardario che ha nel cassetto la Televisa messicana, Cisneros ha affittato un satellite per distribuire le trasmissioni nei due continenti. I suoi interessi si allargano in altri campi: petrolio, supermercati, banche, Coca Cola e poi Pepsi. Gli affari lo legano a Bush padre; passano assieme le vacanze di pesca attorno a Los Roques, isole venezuelane dei Carabi. Tifoso anti Chavez nei giorni del colpo di Stato e dello sciopero del petrolio, quando la sua Venevision era uno dei retropalchi del golpe, si è ammorbidito dopo l’incontro con Chavez favorito dalla mediazione di Jimmy Carter. Le critiche (e durissime) al governo continuano, ma il linguaggio è cambiato: ospita “perfino” le risposte dei vari ministri. RadioTvCaracas le ha sempre rifiutate. L’altro colosso che non ha problemi di rinnovo è Globovision: la legge dei vent’anni di concessione di Lusinchi le concede di andare fino al 2014. È una specie di megafono politico dell’opposizione radicale con venature xenofobe verso i settori popolari afrovenezuelani. Durante il colpo di stato ha trasmesso per due giorni i proclami che annunciavano "la fine della dittatura". Fra i proprietari, un’antica famiglia dell’oligarchia, ma la maggioranza delle azioni sarebbe da poco finita nel portafoglio di un gruppo nordamericano. Nel 2002 Globovision ha ignorato il ritorno di Chavez alla presidenza: si è limitata a trasmettere cartoni animati per bambini trascurando la notizia. È ancora lì, libera di attaccare senza cambiare registro. Un modo per suscitare disgusto nei paesi che contano è l’uso dei corrispondenti stranieri a Caracas. Spargere questa contrarietà nell’altra America e in Europa diventa lo strumento che permette di scandalizzare. E nelle redazioni di altri paesi si fa la conta su chi sta con noi e chi contro di noi. Venti giorni fa Alan Garcia, nuovo e vecchio presidente del Perù in eterna questua alla porta degli Stati Uniti, ha cancellato la frequenza di tre televisioni e non so quante radio oppositrici. Neanche una parola di qua e di là dal mare. L’anno prima delle elezioni, Uribe, presidente Colombia, ha tolto tre frequenze a due Tv non amiche e oscurato le frequenze di radio e Tv regionali e comunitarie. Come Chavez, ha cambiato la Costituzione per poter essere rieletto; sta per ricambiarla per durare in eterno. Nessuno si scandalizza. Alla vigilia delle elezioni messicane, l’ex presidente Fox ha presentato una legge approvata con un gioco pesante di ricatti - a destra e sinistra - raccontati dai giornali locali senza suscitare apprensioni al Congresso americano o nel Parlamento Europeo. Fox consegna al successore Calderon (stesso partito) un decreto su radio Tv che assegna il 90 per cento delle frequenze di Stato a Televisa di Emiliano Azcarraga (partner nel satellite con Murdoch, Cisneros e Marinho) e a Tele Atzeca dove più o meno si mescolano gli stessi interessi. Tutte le radio comunitarie, radio indigene e televisioni regionali non gradire, sono condannate al mutismo. Chi ha sentito una protesta alzi la mano. Nessun partito - democratici e repubblicani - si è mosso, ma per Chavez si. Due i motivi: Chavez ha sulle spalle la maledizione di tanto petrolio e nessuno gli perdona di influenzare il mercato. E poi Chavez è un presidente maleducato: parla tanto e non nasconde la polemica nei ricami della diplomazia. Linguaggio da caserma. Il secondo motivo inquieta: stiamo per essere avvolti da una rete destinata a controllare l’intero sistema della comunicazione, per il momento nelle Americhe e il resto sta per venire: non è un caso che l’ex primo ministro spagnolo Aznar si sia messo a lavorare per Murdoch. E noi a guardare, schiacciando tranquillamente il bottone in attesa di notizie. Che Caracas non sia lontana dall’Italia lo dimostra la strategia elaborata per accendere la protesta delle folle. Dagli studi di RadioTvCaracas è uscita qualche settimana fa una telenovelas al miele, mandata in onda in modo da far cadere le puntate cruciali nei giorni in cui lo stato si riprendeva la frequenza. Un bel numero di aficeonados impazzisce e protesta: non sapranno se l’eroina sposerà il suo mascalzone azzurro dal quale aspetta un bambino. Colpa di Chavez. Ricordate il referendum che abbiamo votato, Berlusconi a remare contro agitando fantasmi? Con la lacrima sospesa ripeteva: se passa nessuno vedrà più Mike Bongiono, Dinasty e Beautifull. Migliaia di persone senza lavoro quando Emilio Fede e Rete 4 finiranno nel satellite. Anni lontani, ma non sono passati. Stiamo ancora limando il conflitto d’interessi. Ma a differenza di Chavez parliamo in punta di forchetta. |