News: LA DEMOCRAZIA ? UNA PESSIMA IDEA
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Inviato da ferocibus70
venerdì 06 luglio 2012 - 13:16:36



IL TRIPLO SOGNO DEL PROCURATORE
di G. De  Cataldo  Il racconto è parte del libro Giudici tre racconti molto belli di De Cataldo, Camilleri Lucarelli

giudici_140_reference.jpgRagazzi, per favore, un momento di attenzione !
Oggi vi insegnerò un nuovo gioco. Statemi a sentire! Il primo ottobre 1966 il nuovo maestro, un giova­notto con gli occhiali cerchiati, il pullover e i calzoni di velluto, aveva preso il posto del vecchio ex ufficia­le della Repubblica sociale italiana tristemente noto agli alunni della scuola elementare Fratelli Bandiera di Novere per il suo uso disinvolto della bacchetta e per la strana mania di concludere il Paternoster di Ti­to con le parole «cosi e».
— Piccoli deficienti, cos'e questo cosi sia? Osate mettere in dubbio la parola di Colui Che Tutto Può ? Cosi è si deve dire, santa pace!




E giù bacchettate ai disobbedienti, the distribui­v
a velocissimo, come velocissimo risaliva in cattedra apriva il registro con una mano, lisciandosi i baffi con l'altra. Il maestro Vito invece non alzava mai la voce, non distribuiva botte a destra e a manca, e, a parte l'inve­terata incapacità di padroneggiare la corretta pronun­cia delle «e» e delle «o», retaggio dell'origine puglie­se, era un tipo simpatico e gagliardo. Soprattutto, li sapeva acchiappare.
Li
coinvolgeva: chiedeva la loro opinione su tutto. Li faceva sentire importanti e, si, si (ma solo quasi, eh) adulti.
-
Allora, il gioco e questo, ragazzi. Noi tutti vivia­mo in una democrazia. Sapete cos'e una democrazia? I vostri genitori  ve lo hanno spiegato ? Qualcuno vuo­le rispondere ? Sentiamo Ottavio.
-
La democrazia e la nostra forma di governo. Si­gnifica che tutti siamo uguali e abbiamo il dovere di votare alle elezioni.

- Ci siamo quasi. Bravo. Qualcun altro? Pierfi­liberto!
- La democrazia significa che tutti vogliono man­
giare e nessuno ha voglia di lavorare.
-
Interessante. Farina del tuo sacco, Pierfiliberto ?
-
Mio padre dice cosi. Dice che si stava meglio quando si stava peggio.

- Molto chiaro. Adesso vi spiego il gioco che f a­remo domani...

Il maestro la prese alla lontana. Parti da Pericle,
grande re che per primo aveva sostenuto l'uguaglian­za dei cittadini, narrò di Bruto e Cassio e del loro va­no tentativo di liberare Roma dal tiranno, dei baroni inglesi, con la loro lotta per strappare al re la Magna Charta, di Macchiavelli e dei Medici, signori della li­bera e fiorente Firenze, della Rivoluzione francese e dei diritti dell'uomo. S'interruppe un momento, li fisse uno per uno e riprese a raccontare ai ragazzi le guerre che i loro avi avevano combattuto per fare dell'Italia un paese libero e unito. Di questo e di tanto altro ancora parlò il maestro Vito. E i suoi ragaz­zi lo stavano ad ascoltare, rapiti.
Non si può dire che
capissero tutto: i fratelli Bandiera, per esempio, quel­li che davano il nome alla scuola. Secondo il maestro Vito erano stati due giovani e nobili eroi. E questo un poco li sorprese, perche per i ragazzi della V C fino a quel momento si era trattato di brutti busti di gesso ricoperti di sputi, cicche filanti incastonate nelle orbite vuote, scritte oscene. Anche se non avevano capito tutto, una cosa di sicuro ai ragazzi della Fratelli Bandiera fu chiara: da allora in avanti avrebbero eletto loro stessi il capo­classe. Era una vera e propria rivoluzione: il vecchio maestro, il capoclasse l'aveva sempre nominato lui. E la scelta era sempre caduta, sin dal primo anno, su Pierfiliberto Berazzi-Perdicò.
Perche era il più alto,
il più grosso, il più manesco e, va da se, il più spione. In una parola, il più cattivo. Perfetto, dunque, agli occhi del vecchio maestro, visto che il suo compito consisteva nel mantenere l'ordine a suon di sberle e riempire con almeno sei-sette nomi al giorno la co­lonna dei «cattivi» alla lavagna - quanto ai «buoni», un nome a settimana, il suo, era più che sufficiente.
Un fremito di gioia selvaggia percorse dunque i
bravi figlioli quando capirono che c'era aria di rivolu­zione. E ai pochi che si ostinavano a ripetere che non sarebbe cambiato niente, Ottavio spiegò che, invece, cambiava tutto. Niente phi punizioni arbitrarie, niente più angherie ne soprusi, niente bacchettate ai nemici ne crudeli pegni imposti con la violenza. Finalmente era arrivata la democrazia. - Allora voteremo tutti per te! - proclamò di slan­cio Donato Casati, piccolo, biondino, mingherlino, vittima prediletta di Pierfiliberto, che amava gratifi­carlo degli appellativi, ogni volta alternati nell'ordi­ne ma sempre cumulati, di mezzafemmina, pisciasotto e quattrocchi.
Io o un altro di noi, è lo stesso, - si schermi Ot­
tavio, - basta che non sia lui!

- Devi essere tu!
Davanti alla collettiva, convinta adesione di ven­tiquattro coraggiosi compagni, che era gia pronto a
vedere come giovani eroi, Ottavio prove il primo, au­tentico brivido di vanità della sua ancor giovane vita. Ma anche Pierfiliberto aveva fiutato il vento del cambiamento. Quei miserabili
pisciasotto, mezzafem­mina, quattrocchi si sarebbero coalizzati contro di lui. E lui avrebbe perso il potere. Nessuno avrebbe più avuto paura di lui. Nessuno gli avrebbe phi fatto i compiti temendo, in caso di rifiuto, la ritorsio­ne. Addio, maglia di centravanti nelle partitelle del finesettimana: tutti avrebbero urlato a gran voce ciò che era risaputo ma non si osava dire apertamente, e cioè che Pierfiliberto era una scamorza al gioco del calcio.
La catastrofe incombeva. E il grande nemi­co, Ottavio, l'unico che non aveva mai avuto paura
a metterglisi contro, quello che incassava stoicamen­te le bacchettate con un insopportabile sorrisetto di scherno, proprio Ottavio avrebbe trionfato. Non poteva accadere. Non doveva accadere. E non sarebbe accaduto.
Quei
cacasotto avevano fatto i conti senza l'oste. Pierfiliberto non sapeva che diamine significasse, quell'espressione: suo padre l'ave­va pronunciata in due o tre occasioni storiche, al cul­mine di accese dispute domestiche. Era la frase che riduceva al silenzio la mamma e riportava l'armonia in famiglia. Se funzionava in casa, doveva funzionare anche a scuola. Pierfiliberto non era tipo da arrendersi senza combattere. C'erano ventiquattro ore di tempo prima delle elezioni.
Il maestro Vito aveva commesso
un grave errore. Gli aveva dato tempo per organizza­re la contromossa. Se si fosse votato subito, sull'onda emotiva del discorso su Pericle e quegli altri vecchi deficienti, it suo destino sarebbe stato segnato. Ma il maestro Vito aveva sbagliato. Serviva un'idea. E l'idea arrivò, nottetempo.
La mattina delle elezioni Ottavio senti subito un'aria
strana. Donato Casati, che il giorno prima era stato il suo più entusiasta sostenitore, gli era scivolato accanto con gli occhi bassi, mentre andava a deporre bigliettino nell'urna allestita dal maestro Vito. Pierfi­liberto, invece, aveva votato con ostentata sicurezza, circondato da tre o quattro di quelli che, it giorno pri­ma, avevano giurato a Ottavio eterna fedeltà. Quan­do il maestro proclamò il risultato, sull'aula della V C scese un colpevole silenzio.

— Berazzi-Perdice, voti venticinque. Mandati, voti uno. Dichiaro Pierfiliberto Berazzi-Perdicò capoclas­se sino al termine dell'anno scolastico.
A Ottavio si offuscò la vista. Dovette lottare con
quanta forza aveva in corpo per ricacciare indietro le lacrime che premevano per erompere, furiose. No, questo no. Piangere davanti a Pierfiliberto mai! Si perse cosi, teso nello sforzo di non piangere, il sorriso addolorato con cui, a uno a uno, i rinnegati si senti­rono in dovere di affibbiargli sulla spalla delle pacche amichevoli. Si perse il ghigno apertamente ostile del vincitore; e il tono un po' amaro con il quale il mae­stro sanzionò il risultato.

— Complimenti. Oggi avete dato tutti una bella prova di democrazia.
Quello stesso giorno, all'uscita, Donato Casati gli
rivelô l'inghippo. A dire il vero, Ottavio nemmeno avrebbe voluto ascoltarlo: quando l'altro gli si era avvicinato, aveva fatto di tutto per scansarlo. Ma la cu­riosità, alla fine, aveva prevalso sulla rabbia.
Com'era andata ? Semplice. Pierfiliberto si era corn­
perato i voti. A uno a uno. Il prezzo: fumetti da col­lezione, e senza lesinare su quelli particolarmente ambiti. I «Tex» in formato striscia, «Capitan Mike» e «Black Macigno» e i coloratissimi albi dell'«Intre­pido». E gomme da masticare, quaderni nuovi, rare figurine Panini persino bisvalide e trisvalide. Anche il maestro Vito aveva saputo. Dopo che Donato Ca­sati si era ritirato, il maestro si avvicinò a Ottavio e lo abbracciò, come un padre con un figlio.

- E stata una dura lezione, ma ti servirà. Tu sei un leoncino, ti riprenderai.
Ma la storia non era ancora finita. Qualche giorno dopo, sempre Donato Casati, durante la ricreazione, lo avvicinò con aria contrita.
- Pierfiliberto si e ripreso tutto quello che ci aveva dato. I giornaletti, le figurine, tutto. Ha anche detto che da domani gli dobbiamo pagare a turno la me­renda. Ha detto che ormai e stato eletto e quindi gli dobbiamo ridare la roba sua.
-
E io che dovrei fare ?

- Devi dirlo al maestro. Cosi annullerà l'elezione e rifaremo i voti.
- Ah, no. Voi ve lo siete scelto e voi ve lo tenete!
E, mentre lo diceva, si sentiva invadere da un meraviglioso senso di sconfitta. Non poteva ancora saperlo, il piccolo Ottavio, ma si trattava proprio di quell' autocommiserazione autocelebrativa che Tere­sa gli avrebbe rinfacciato per tutta la vita. Ma, cor­na d'alce, per dirla con l'adorato Black Macigno, si sentiva cosi tanto Cincinnato, e cosi fiero di esserlo ! Pierfiliberto restò capoclasse per tutto l'anno. Ma poiché il maestro Vito era molto diverso dal vecchio maestro, fu presto chiaro che il suo ruolo era soltanto formale. Incapace di farsene una ragione, Pierfiliber­to, la prima volta che il maestro dovette assentarsi per una «riunione dal signor direttore», si precipitò alla lavagna, tracce una  linea nel bel mezzo del piano di scrittura, incise col gesso BUONI a sinistra e CATTI­Vi a destra e cominciò a scrivere nomi sulla seconda colonna.
Era arrivato a quindici (capolista: Ottavio)
quando il maestro fece ritorno all'improvviso.

- Che cosa credi di fare, Pierfiliberto?
-
I buoni e i cattivi, signor Maestro !
-
E da dove nasce questa brillante trovata ?
-
Col vecchio maestro facevo sempre cosi. E poi lui dava la ricompensa ai cattivi.

- La ricompensa ?
-
Dieci bacchettate...

- Forse non ti è chiara una cosa, ragazzino. Io non sono il tuo vecchio maestro. Qui non si usano ne bac­chettate ne punizioni di quel tipo. Adesso torna al posto. Fammi un'altra volta questo scherzo e ti re­voco l'incarico di capoclasse.
-
Non può farlo, signor maestro. Sono stato eletto dai miei compagni. E la democrazia.

II maestro Vito guardò i suoi allievi. Ridevano, divertiti dalla battuta di Pierfiliberto, estasiati dalla sua prontezza di spirito. Prove, per loro e per se, una gran pena. Solo Ottavio se ne stava serissimo, quasi disgustato.
Provò pena anche per lui.
Per un istante
gli balenò il pensiero che la democrazia poteva persi­no essere una pessima idea.






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