News: TENUTA DEMOCRATICA. UNA PROFEZIA CHE SI PUO' AUTOAVVERARE
(Categoria: POLITICA)
Inviato da ferocibus70
venerdì 01 settembre 2017 - 16:46:43


 

salvini4.jpgVale ancora la pena di comprare La Repubblica per leggere Gianni, Maltese, Serra...Per il resto i quotidiani sembrano tutti omologati. Almeno i maggiori. Seguono il trend di sparare notizie a raffica, fossero anche le balle più colossali, o le semplificazioni abominevoli. La lucida analisi di Giannini ci rincuora, ma ci dispera. Perchè queste dovrebbero essere le parole della Politica, quella che dovrebbe essere davvero. Che non mente,  non sparge odio, offre un orizzonte e soluzioni a problemi reali. Quella che non parla alle pance ma che cerca di far ragionare i cervelli. Cosi hanno perso di autorevolezza, di credibilità. Con un paese disperato e dilaniato, gli uni contro gli altri. Moltissimi  spinti da politiche incapaci e spesso in malafede sono impegnati in una guerra tra poveri. In un paese cosi è visti i precedenti vince la destra peggiore  (admin)

di Massimo Giannini La Repubblica, 1 settembre 2017

Ora sappiamo di cosa parla Marco Minniti, che di fronte "all'ondata migratoria" dice di aver temuto "per la tenuta sociale e democratica del Paese". Se ci guardiamo intorno, in questo desolato panorama italiano, vediamo moltiplicarsi i focolai di un ordinario odio razziale. Latente, e al tempo stesso terrificante. Tiburtino III, disperata periferia romana trasfigurata per un pomeriggio in una banlieue di Parigi o in un ghetto di Los Angeles, è solo l'ultimo di una lunga teoria di violenze covate, compresse ma pronte a esplodere.Dobbiamo dirlo, con la drammatica consapevolezza che impone la fase. In questo esausto lembo di Occidente, il discorso social-xenofobo rischia davvero di vincere la partita del consenso. "Noi", i "forgotten men" vittime dell'impoverimento globale e dello smarrimento identitario, contro "loro", i disperati senza patria che rubano la nostra terra, la nostra casa, il nostro lavoro. Uno schema ideologico costruito sull'incrocio fatale tra disagio economico e malessere identitario, e dunque di sicura presa psicologica e mediatica in questa Europa sempre più svuotata di senso.È questo il virus che gli impresari della paura, politicanti travestiti da falsi terapeuti, inoculano nelle vene di un Paese già provato dalla crisi. Ed è questo il messaggio che arriva e fa breccia non più solo nella testa e nel cuore degli italiani che, ai margini dei centri metropolitani e dei servizi residui del Welfare, vivono la prossimità sulla propria pelle, come "penultimi" assediati dagli "ultimi". Ma anche in quel che resta dei ceti medi, desertificati da una disoccupazione spietata e bombardati da una "narrazione" avvelenata. Come scriveva Zygmunt Bauman, lo "straniero alla nostra porta" è la costruzione di un capro espiatorio utile a distrarre il popolo dalle vere emergenze. A ingenerare il "panico morale", cioè quella forma di risentimento spaurito che ti fa guardare a chiunque sia diverso da te con gli occhi del nemico.Tutto questo sta accadendo, qui ed ora. Intendiamoci. Non saremo mai noi a negare che i flussi migratori vadano assolutamente gestiti, e nei limiti del possibile controllati insieme a un'Unione europea che finora ha voltato altrove il suo cinico sguardo. Non saremo mai noi a negare che il sistema in questi anni non ha funzionato, alimentando un circuito nel quale i richiedenti asilo sopravvissuti alla morte nel Mediterraneo e abbandonati a se stessi negli Sprar o nei Cie hanno ingrossato le file della disperazione e ingrassato le casse della criminalità. Non saremo mai noi a negare che il problema non si risolve evocando genericamente il dogma dell'accoglienza, declinata quasi come un esorcismo.Ma mentre ribadiamo tutto questo, non possiamo non vedere l'orrore di quello che accade ed è accaduto intorno a noi, in questo infuocato agosto italiano. Non possiamo non vedere che al Tiburtino III, qualunque cosa sia successa in quel centro della Croce Rossa e qualunque sasso abbia brandito quel profugo eritreo, un gruppo di romani ha provato a farsi giustizia da sé, con un raid punitivo. Non possiamo non vedere che dopo gli stupri di Rimini, per i quali sono sospettati profughi magrebini, gli odiatori del web e i volenterosi carnefici della Lega si sono scatenati contro Boldrini e le donne del Pd, augurando loro un "trattamento" analogo.Non possiamo non vedere che a Pistoia don Massimo Biancalani è stato "crocifisso" dalla Rete e "processato" da Salvini e da Forza Nuova per aver postato su Facebook una foto in cui una quindicina di profughi ghanesi affidati alla sua parrocchia facevano il bagno in piscina. E avevano persino l'impudenza non solo di esistere, ma persino di "sorridere". Non possiamo non vedere che a Cagliari un venditore ambulante senegalese ha rischiato di essere linciato da un gruppo di villeggianti campani, che rivendicavano il diritto di prendersi la sua merce senza pagarla. Non possiamo non vedere che a Margherita di Savoia due turisti cubani che avevano prenotato un soggiorno in un bed & breakfast sono stati rifiutati dal gestore "perché neri".Sono frammenti di intolleranza, ai quali ci siamo tragicamente assuefatti. Ricordano Crash, il capolavoro cinematografico di Paul Haggis, il cui sottotitolo (non per caso) era "Contatto fisico", e in cui ogni scena nella quale i bianchi e i neri condividevano un luogo o un diritto era l'occasione potenziale di un conflitto, materiale o verbale. Il film di questa brutta estate tricolore evoca quasi le stesse atmosfere. La destra di piazza impone la sua egemonia, e la sinistra da salotto non è più capace di spiegare, a se stessa e all'opinione pubblica, che c'è ancora un modo per coniugare diversità e solidarietà, legalità e civiltà. È un problema di valori, è un problema di linguaggi. Se il tema migranti si affronta sempre e solo nei termini di un'Apocalisse, le risposte del senso comune saranno sempre e solo apocalittiche.Il governo sta tentando di offrire soluzioni. Il ministro dell'Interno sta provando a elaborare una strategia. Per evitare che salti "la tenuta sociale e democratica del Paese" non bastano interventi "esemplari", come il codice per le Ong o gli sgomberi con i manganelli. Servono la fatica e la responsabilità di una politica che sappia discernere, spiegare, e poi decidere. Una politica che abbia un orizzonte vasto, molto più lontano delle prossime elezioni. Altrimenti, nella condizione fragile e spaurita in cui viviamo, il timore di Minniti rischia di diventare altro: una profezia che si auto-avvera.



 

di Massimo Giannini La Repubblica, 1 settembre 2017

Ora sappiamo di cosa parla Marco Minniti, che di fronte "all'ondata migratoria" dice di aver temuto "per la tenuta sociale e democratica del Paese". Se ci guardiamo intorno, in questo desolato panorama italiano, vediamo moltiplicarsi i focolai di un ordinario odio razziale. Latente, e al tempo stesso terrificante. Tiburtino III, disperata periferia romana trasfigurata per un pomeriggio in una banlieue di Parigi o in un ghetto di Los Angeles, è solo l'ultimo di una lunga teoria di violenze covate, compresse ma pronte a esplodere.Dobbiamo dirlo, con la drammatica consapevolezza che impone la fase. In questo esausto lembo di Occidente, il discorso social-xenofobo rischia davvero di vincere la partita del consenso.
"Noi", i "forgotten men" vittime dell'impoverimento globale e dello smarrimento identitario, contro "loro", i disperati senza patria che rubano la nostra terra, la nostra casa, il nostro lavoro. Uno schema ideologico costruito sull'incrocio fatale tra disagio economico e malessere identitario, e dunque di sicura presa psicologica e mediatica in questa Europa sempre più svuotata di senso.
È questo il virus che gli impresari della paura, politicanti travestiti da falsi terapeuti, inoculano nelle vene di un Paese già provato dalla crisi. Ed è questo il messaggio che arriva e fa breccia non più solo nella testa e nel cuore degli italiani che, ai margini dei centri metropolitani e dei servizi residui del Welfare, vivono la prossimità sulla propria pelle, come "penultimi" assediati dagli "ultimi". Ma anche in quel che resta dei ceti medi, desertificati da una disoccupazione spietata e bombardati da una "narrazione" avvelenata. Come scriveva Zygmunt Bauman, lo "straniero alla nostra porta" è la costruzione di un capro espiatorio utile a distrarre il popolo dalle vere emergenze.
A ingenerare il "panico morale", cioè quella forma di risentimento spaurito che ti fa guardare a chiunque sia diverso da te con gli occhi del nemico.
Tutto questo sta accadendo, qui ed ora. Intendiamoci. Non saremo mai noi a negare che i flussi migratori vadano assolutamente gestiti, e nei limiti del possibile controllati insieme a un'Unione europea che finora ha voltato altrove il suo cinico sguardo. Non saremo mai noi a negare che il sistema in questi anni non ha funzionato, alimentando un circuito nel quale i richiedenti asilo sopravvissuti alla morte nel Mediterraneo e abbandonati a se stessi negli Sprar o nei Cie hanno ingrossato le file della disperazione e ingrassato le casse della criminalità.
Non saremo mai noi a negare che il problema non si risolve evocando genericamente il dogma dell'accoglienza, declinata quasi come un esorcismo.
Ma mentre ribadiamo tutto questo, non possiamo non vedere l'orrore di quello che accade ed è accaduto intorno a noi, in questo infuocato agosto italiano. Non possiamo non vedere che al Tiburtino III, qualunque cosa sia successa in quel centro della Croce Rossa e qualunque sasso abbia brandito quel profugo eritreo, un gruppo di romani ha provato a farsi giustizia da sé, con un raid punitivo. Non possiamo non vedere che dopo gli stupri di Rimini, per i quali sono sospettati profughi magrebini, gli odiatori del web e i volenterosi carnefici della Lega si sono scatenati contro Boldrini e le donne del Pd, augurando loro un "trattamento" analogo.Non possiamo non vedere che a Pistoia don Massimo Biancalani è stato "crocifisso" dalla Rete e "processato" da Salvini e da Forza Nuova per aver postato su Facebook una foto in cui una quindicina di profughi ghanesi affidati alla sua parrocchia facevano il bagno in piscina. E avevano persino l'impudenza non solo di esistere, ma persino di "sorridere". Non possiamo non vedere che a Cagliari un venditore ambulante senegalese ha rischiato di essere linciato da un gruppo di villeggianti campani, che rivendicavano il diritto di prendersi la sua merce senza pagarla. Non possiamo non vedere che a Margherita di Savoia due turisti cubani che avevano prenotato un soggiorno in un bed & breakfast sono stati rifiutati dal gestore "perché neri".Sono frammenti di intolleranza, ai quali ci siamo tragicamente assuefatti. Ricordano Crash, il capolavoro cinematografico di Paul Haggis, il cui sottotitolo (non per caso) era "Contatto fisico", e in cui ogni scena nella quale i bianchi e i neri condividevano un luogo o un diritto era l'occasione potenziale di un conflitto, materiale o verbale.
Il film di questa brutta estate tricolore evoca quasi le stesse atmosfere. La destra di piazza impone la sua egemonia, e la sinistra da salotto non è più capace di spiegare, a se stessa e all'opinione pubblica, che c'è ancora un modo per coniugare diversità e solidarietà, legalità e civiltà. È un problema di valori, è un problema di linguaggi. Se il tema migranti si affronta sempre e solo nei termini di un'Apocalisse, le risposte del senso comune saranno sempre e solo apocalittiche.
Il governo sta tentando di offrire soluzioni. Il ministro dell'Interno sta provando a elaborare una strategia. Per evitare che salti "la tenuta sociale e democratica del Paese" non bastano interventi "esemplari", come il codice per le Ong o gli sgomberi con i manganelli. Servono la fatica e la responsabilità di una politica che sappia discernere, spiegare, e poi decidere. Una politica che abbia un orizzonte vasto, molto più lontano delle prossime elezioni. Altrimenti, nella condizione fragile e spaurita in cui viviamo, il timore di Minniti rischia di diventare altro: una profezia che si auto-avvera.





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