Guardando alle questioni sudamericane con l’ottica dei mercati, occorre sempre aver letto preventivamente ‘Confessioni di un sicario dell’economia’ di John Perkins. Più che altro, per essere consci delle dinamiche che sovrintendono le logiche di potere nella periferia dell’Impero, come egli stesso la definisce. Fuori di retorica terzomondista e dietrologica, raccontando i fatti. E mentre il mondo, soprattutto politico, si divide fra pro e contro Maduro, contrapponendo preavvisi elettorali degni del licenziamenti di una colf a invii di mercenari armati a difesa del governo, sorgono i primi dubbi. E con esso, i miti. da businessinsider |
Juan Guaidò, l’uomo che l’Occidente vorrebbe al potere a Caracas, davvero avrebbe già pronto un piano di riforma e privatizzazione del mercato interno degli idrocarburi a tutto vantaggio delle compagnie Usa? Davvero vorrebbe silurare il management pro-Maduro della Citgo Petroleum, punta di diamante della controllata petrolifera PDVSA, per prosciugare l’ultima fonte di introito fiscale del governo e così farlo crollare, sotto il peso della piazza ? Davvero starebbe già considerando, come rilanciato da Reuters, una richiesta di aiuto finanziario all’FMI per il suo governo di rinascita nazionale, una volta insediato? Una cosa sola è certa e non tacciabile di complottismo: in America Latina, da sempre, i mercati amano dittatori e dittature. Per una ragione semplice: pur di mantenere il potere, pagano sempre e comunque gli interessi stratosferici che promettono, pur di finanziare il debito e non finire tagliati fuori dal mercato a causa di un default. Il Venezuela, da Chavez a Maduro, non è stato differente. E ne sa qualcosa l’azienda regina dell’investimento senza troppi scrupoli, quella Goldman Sachs che non più tardi del maggio 2017 sfidò tutti e acquistò 2,8 miliardi di bond venezuelani dalla Banca centrale di Caracas. E lo fece con fiuto degli affari, appunto, visto che quella carta emessa proprio dalla compagnia petrolifera di Stato nel 2014 e con scadenza 2022 la pagò soltanto 865 milioni di dollari. Uno sconto del 31%. Il tutto, in un quadro che all’epoca, parliamo di meno di due anni fa, vedeva i rendimenti dei titoli di Stato venezuelani a 10 anni al 21%, mentre quelli in scadenza nel 2018 rasentavano il 35%. Stessa cosa per i rendimenti dei bond della compagnia petrolifera statale Petroleos de Venezuela (PDVSA), i quali a 10 anni offrivano uno yield del 21%, mentre nel breve si arrivava anche al 40%. Insomma, mentre tutti temevano il default del Paese latino-americano, Goldman Sachs andava pesantemente contrarian. Certa, addirittura, che le dinamiche in seno all’Opec e relative alla produzione di petrolio e anche un eventuale cambio di governo avrebbero addirittura fatto raddoppiare il valore di quelle obbligazioni. Ma qualcosa andò storto. Nella fattispecie, il fatto che quella scommessa anticipò di pochi mesi – agosto 2017 – l’entrata in vigore dell’ordine esecutivo di Donald Trump di un rafforzamento del regime sanzionatorio contro Caracas, il quale vietava anche il trading sui titoli di Stato. Nel frattempo, in ossequio a questa decisione non certo presa dalla sera alla mattina a Pennsylvania Avenue, il governo di Maduro era diventato obiettivo prediletto degli strali dell’amministrazione Usa, la quale enfatizzava non solo l’iperbolico livello raggiunto dal tasso di inflazione ma anche – e soprattutto – la penuria di cibo e la fame che i cittadini venezuelani pativano sempre maggiormente. Ed ecco che i bond acquistati tre mesi prima da Goldman Sachs vennero immediatamente ribattezzati Hunger bonds, le “obbligazioni della fame” e folle – ancorché non oceaniche – di cittadini chiesero conto alla banca d’affari del suo implicito sostegno al regime venezuelano, detenendo il debito. E in grande stile, visto che stando a dati di Bloomberg, al 30 giugno 2017 Goldman Sachs era il più grande detentore al mondo di obbligazioni dell’azienda energetica statale di Caracas e il settimo di debito pubblico venezuelano. Insomma, uno sponsor fondamentale. E ottimamente remunerato, a livello di rendimenti. Puntualmente corrisposti. E cosa accadde sul finire di quel mese di agosto? Preso atto della situazione, il governo statunitense decise di esentare Goldman Sachs dal divieto di trading sul debito venezuelano, sovrano e di controllate statali , di fatto inviando un messaggio chiaro, ancorché impicito: non solo i bond acquistati da Goldman Sachs non si rivelarono un obiettivo primario delle sanzioni volute da Donald Trump, come qualcuno pensava in ossequio alla retorica anti-Wall Street del Presidente in campagna elettorale ma, anzi, si rivelarono i beneficiari primari.Insomma, quel nozionale di 3 miliardi di dollari di perdita potenziale, il gigante della finanza Usa non voleva vederlo materializzarsi. E la Casa Bianca operò in tal modo, tanto che gli unici bond realmente soggetti al bando dal trading furono quelli con scadenza 2036: mai venduti su un mercato che non fosse quello interno venezuelano. Tutto risolto? Non proprio. Perché Goldman non sfruttò l’occasione per liquidare quei bond e non decise nemmeno di correre il rischio di detenerli in toto, rischiando un bagno se Caracas fosse andata in bancarotta (ipotesi non del tutto peregrina). Scelse la via di mezzo della terza via, garantitagli dal regime di esenzione: scaricò parte dei 2,8 miliardi di nozionale e ne tenne una parte, esattamente un nozionale di 1,3 miliardi di dollari alla fine del terzo trimestre del 2017, giustificandosi con l’opinione pubblica con la scusa di aver acquistato le obbligazioni direttamente da PDVSA, quindi di non aver finanziato il regime attraverso un trasferimento di fondi mostra però il trend poco piacevole dei famigerati Hunger bonds dopo la comunicazione da parte del regime venezuelano di ristrutturare gli 89 miliardi di debito del Paese. E proprio le sanzioni statunitensi potrebbero rendere molto complicato quel piano, visto che non consentono uno scambio convenzionale di libera domanda/offerta e rischiano di farne precipitare ulteriormente il valore. Ora un cambio di regime, magari con i soldi dell’Fmi pronti a garantire quel debito che Maduro continua invece a minacciare di voler ristrutturare, potrebbe incidentalmente cambiare il corso del mercato. Leggi anche: “Ecco a voi lo scandalo finanziario del 2018, uno dei più grandi di sempre: la storia di 1Mbd, il fondo malese finanziato da Goldman Sachs“ |