C'è un rapporto del 1983 della GdF che individua Berlusconi come al centro di un traffico di droga e di grosse speculazioni edilizie in Costa Smeralda. Poi potete leggere un rapporto della Criminalpol sulle relazioni tra Marcello dell' Utri ed il noto trafficante Vittorio mangano, lo stalliere di Berlusconi. Infine c'è il rapporto della Polizia del Canton Ticino, del 1991, che parla del riciclaggio di denaro che apparterebbe al clan Berlusconi. |
Questa è un altra storia che viene dal passato. Una di quelle storie di cui molti non hanno mai saputo niente, perchè nessuno li ha mai informati. Quelli che contavano e che dovevano impedire che un personaggio cosi "chiacchierato" diventasse presidente del consiglio, probabilmente non hanno voluto sapere. Mi riferisco alla classe dirigente di sinistra, quella che ha stesso tappeti a Berlusconi ed ha finto di non sapere con chi in seguito ha trattato la riforma della Costituzione del paese. Si tratta di un 'inchiesta partita dalla Svizzera, ma che si ramifica in tutta Europa ed ha pesanti coinvolgimenti in Italia. L'inchiesta parte negli anni '90 e si occupa di traffico di droga ma soprattutto del riciclaggio del denaro, proveniente da detti traffici. Parliamo di centinaia di miliardi e di tonnellate di droga, soprattutto cocaina.Appunto la sostanza che , da metà degli anni 90 in poi, ha invaso l'Europa sostituendo quasi del tutto l'eroina. Il nome di Berlusconi e della Fininvest viene pesantemente fuori in questa inchiesta che vede protagonisti un commissario Fausto Cattaneo (2) ed un giornalista Sidney Rotalinti (1), entrambi ticinesi. Qualcuno penserà alla panzana, altri grideranno alla solita congiura, peccato che ci siano informative di organi di polizia che, già prima di quella data, segnalano Berlusconi, il suo clan e la Fininvest (allora Mediaset si chiamava cosi) come implicati in traffici di stupefacenti e riciclaggio di denaro sporco. C'è un rapporto del 1983 della GdF che individua Berlusconi come al centro di un traffico di droga e di grosse speculazioni edilizie in Costa Smeralda. Poi potete leggere un rapporto della Criminalpol sulle relazioni tra Marcello dell' Utri ed il noto trafficante Vittorio mangano, lo stalliere di Berlusconi. Infine c'è il rapporto della Polizia del Canton Ticino, del 1991, che parla del riciclaggio di denaro che apparterebbe al clan Berlusconi. L'inchiesta di cui leggerete viene denominata Mato Grosso, ed oltre al nome di Berlusconi vine fuori quello della Lega, di Bossi e Calderoli. Non perchè coinvolti nel traffico, ma perchè, siamo nel 94/95, l'anno della caduta per mano di Bossi del primo governo Berlusconi, Bossi si avvicina ai protagonisti dell'inchiesta, chiedendo approfondimenti sull'inchiesta , prove, perchè intende "distruggere Berlusconi". Quello era il periodo in cui la Padania sparava a zero su Berlusconi chiamandolo "il mafioso di Arcore". Poi, evidentemente, Bossi si è accordato. Ma questo potrebbe spiegare perchè il rapporto con la Lega è indissolubile, perchè Bossi chiama e Berlusconi corre ad Arcore. Berlusconi, per quanto potente, mi dà più l' impressione di essere il paravento di u grumo di poteri mafioso-finanziari a cui deve dar conto. Quindi è ricattabile da questi poteri che lo manovrano, ma anche da chi viene a conoscenza del fango che lo circonda. Io continuo a domandarmi che cosa è questo paese dove un uomo su cui gravano questi sospetti, tralasciando la storia della P2 e i numerosi altri reati di cui è stato imputato, possa non solo candidarsi ma essere eletto. Mi chiedo anche come sia stato possibile che la cosiddetta "sinistra" abbia finto di non vedere chi era veramente quest'uomo. Ignavia, sottovalutazione o collusione? Non torno sul fenomeno Berlusconi e su questa storia già trattata altre volte per monomania o antipatia verso la persona. Niente manco di ideologico. Berlusconi non è di destra, o di sinsitra. E' altro dalla politica, è il malaffare che si fa potere costituito. Il punto è che se non si fa chiarezza sui centri di poteri veri del paese, oscuri che governano, dietro le quinti, ma ormai sempre più palesemente, questo paese ormai da sempre, qualunque speranza di cambiamento è perduta in partenza. Se la sinistra prima di tutto non si fa carico di fare chiarezza sul fenomeno mafioso che ormai controlla il paese, parlare di riforme, riformismo, cambiamento è solo una grandissima presa per il culo.Ed ora leggetevi l'inchiesta raccontata da due fonti diverse. Un pò lunghetta, ma vale la pena di arrivare in fondo. Ho raccolto da due siti attendibili . Chi volesse approfondire può cercare con Google alle voci fausto cattaneo (2), sidney rotalinti (1), mato grosso, incrociandole tra loro. Vedi anche il filmato che racconta la storia nei dettagli, con le intersviste a Cattaneo e Rotalinti, fatte da Gianfranco Mascia giuseppe galluccio 19/9/07 _____________________________________________________ da "I Siciliani nuovi", marzo 1994 Per quanto riguarda il denaro da riciclare in provenienza dall'Italia, (v. nostro rapporto 10.6.91), il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio BERLUSCONI. Già si dispone del codice di chiamata (per il trasferimento di denaro dell'Italia): dovranno unicamente designare una persona di fiducia di tale gruppo. Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati. All'epoca si interessava dell'indagine l'allora giudice Di Maggio, che era stato anche in Ticino per conferire con l'ex procuratore pubblico on. Dick Marty. Il rapporto della polizia cantonale di Bellinzona, graziosa cittadina del Canton Ticino, è datato 13 settembre 1991, e intitolato: <>. Risulta inviato al comandante della polizia cantonale Mauro Dell'Ambrogio, al Procuratore Pubblico di Lugano Carla Del Ponte e a quello di Bellinzona, Jacques Ducry. A firmarlo sono il comandante della sezione "Informazioni droga" del Canton Ticino Daniele Corazzini e il comandante della polizia di Bellinzona, Silvano Sulmoni. Questo delicatissimo documento è allegato agli atti dell'inchiesta "Mato Grosso", ferma da diversi mesi alla procura di Lugano. A parlare per primi del presunto coinvolgimento di Silvio Berlusconi nell'inchiesta "Mato Grosso", furono i giornalisti del quotidiano svizzero "L'Altranotizia", che pubblicarono una serie di servizi tra novembre e dicembre dello scorso anno. Partendo da quella notizia, abbiamo rintracciato il rapporto della polizia di Bellinzona, con il suo sconcertante contenuto: Silvio Berlusconi - o meglio «il clan Berlusconi», come scrivono le autorità svizzere - sospettato di essere coinvolto in una grossa operazione di riciclaggio. O addirittura, come si legge nel documento, già messo sotto inchiesta in passato per la "Pizza Connection", una gigantesca indagine sugli affari di grandi boss della mafia turca e siciliana, che intrattenevano rapporti da un lato con i salotti buoni della finanza svizzera, e dall'altro con il capo della P2 Licio Gelli (vedi "Avvenimenti" del 19 gennaio 1994). "Avvenimenti" aveva già documentato, nelle scorse settimane, i rapporti di antichissima data tra il gruppo Berlusconi, e la Fi.Mo., una finanziaria svizzera specializzata nella gestione di capitali "sporchi", e coinvolta nelle indagini sul "cartel" di Medellin; e quei rapporti erano stati confermati dalle dichiarazioni di Gianmauro Borsano, presidente del Torino Calcio, ai magistrati che indagano sull'affare Lentini. Ma prima di deciderci a scrivere di questa seconda vicenda, riguardante un candidato al governo dell'Italia, e quindi obbligato a particolari doti di trasparenza, siamo andati per molte settimane a caccia di conferme o smentite alle notizie contenute nel rapporto del 13 settembre 1991, firmato da due alti funzionari di polizia e regolarmente inviato a tutte le autorità inquirenti. Abbiamo raccolto tanto le conferme quanto le smentite. Ma prima di tirare conclusioni, bisogna raccontare una storia. L'incredibile storia di un finanziere, di un poliziotto, e di una città invisibile. La mattina del 12 giugno 1991 pioveva sul Ticino e sul nord Italia. Il finanziere ispano-brasiliano Juan Ripoll Mari compose, da Torino, il numero di un ufficio di trasporti di Chiasso, al confine italo-svizzero. All'altro capo del filo rispose, in spagnolo, un uomo che salutò cordialmente Ripoll Mari. I due si diedero appuntamento per qualche ora dopo, nell'ufficio di Chiasso. L'uomo di Chiasso, che Ripoll Mari conosceva come un trasportatore di pochi scrupoli, era in realtà un agente della polizia cantonale specializzato in operazioni "undercover", sotto copertura. Dal suo lavoro erano scaturite molte operazioni contro il grande riciclaggio del denaro sporco in Svizzera: dalla "Green Ice" alla "Octopus", fino alla "Lebanon Connection". A Juan Ripoll Mari, il poliziotto si era presentato come proprietario di una agenzia di trasporti specializzata nel far passare illegalmente alla dogana italo-elvetica merci di ogni genere. L'agente infiltrato aveva mostrato con legittimo orgoglio a Ripoll Mari i suoi furgoncini con doppio fondo, e i suoi ragazzi pronti a rischiare la galera ad ogni passaggio di frontiera in cambio di un ottimo stipendio. Ripoll Mari aveva voluto incontrare molte volte il trasportatore ticinese prima di affidargli il lavoro. Alla fine aveva deciso di fidarsi, e i due erano persino diventati amici. La fiducia era molto importante in quel lavoro, perché non era un lavoro qualunque. Ufficialmente Ripoll Mari era un grande esportatore di prodotti dal Sud America: succhi di frutta, blocchi di granito, shampoo vegetale, aragoste, frigoriferi. Possedeva una enorme villa a Rio de Janeiro, proprio sotto il Corcovado. Ed era un amico personale di Leonida Brizola, potente e chiacchierato governatore dello Stato di Rio. Ripoll Mari, invece, era molto più che chiacchierato. Da molti mesi poliziotti di vari paesi lo tenevano d'occhio. Lo consideravano non un trafficante qualsiasi, ma un grande esperto in tecniche di riciclaggio del denaro sporco. A lui, secondo le polizie di mezza Europa, si rivolgevano tutti coloro - imprenditori, mafiosi, politici e narcotrafficanti - che avevano necessità di far uscire dai loro paesi grosse quantità di denaro di provenienza oscura: dall'evasione fiscale, alle tangenti, fino alla vendita di droga. L'opera di infiltrazione, affidata nel dicembre del 1990 allo specialista della polizia svizzera, procedeva bene. Una sera, a Lugano, Ripoll Mari aveva parlato all'amico ticinese di un progetto gigantesco: la costruzione di una intera città, 3000 chilometri a nord di Rio de Janeiro, nel Mato Grosso. La città, aveva raccontato Ripoll Mari, si sarebbe chiamata Nova Atlantida, e sarebbe stata edificata interamente con i soldi "sporchi" di una sorta di "consorzio" tra politici brasiliani e soci europei che avevano bisogno di esportare e investire denaro di provenienza non confessabile. 3-400 milioni di dollari, per cominciare. «Il tuo compito - aveva spiegato Ripoll Mari all'agente infiltrato - sarà quello di trasportare i soldi da Spagna, Francia e Italia in Svizzera, e di versarli su un conto corrente aperto a Lugano». Il poliziotto non aveva fatto domande, perché la discrezione era una delle qualità che Ripoll Mari apprezzava maggiormente. Ma quella stessa notte, nell'albergo in cui era alloggiato, aveva incontrato un suo collega, e gli aveva riferito parola per parola il discorso di Ripoll Mari. L'operazione era così iniziata ufficialmente. Era stato un funzionario della polizia svizzera a decidere che si sarebbe chiamata, in codice, "operazione Mato Grosso". Ripoll Mari arrivò a Chiasso intorno alle undici del mattino, e aveva appena finito di piovere. Si infilò in un palazzo al numero 45 di Carso S. Gottardo. L'agente "undercover" gli andò incontro sulle scale, si salutarono con una robusta stretta di mano. Rimasero a parlare per diverse ore, con una sola breve pausa per il pranzo, in un ristorante poco lontano. Ripoll Mari annunciò all'amico che l'operazione stava per partire. Pazientemente, gli spiegò quali sarebbero stati i codici da utilizzare per mettersi in contatto con i soci del "consorzio" che in Francia, Spagna e Italia gli avrebbero fornito il denaro da portare in Svizzera. Ogni volta, il trasportatore avrebbe dovuto telefonare a un numero che Ripoll Mari gli avrebbe comunicato, e pronunciare il suo nome accompagnato dalla data del giorno in corso. Le istruzioni, cambiavano leggermente da Paese in Paese. Ai francesi, l'amico di Ripoll Mari avrebbe dovuto dare il suo nome seguito da giorno, mese e anno. Agli spagnoli il nome e poi l'anno, il mese e il giorno; agli italiani, infine, giorno, mese, anno e nome. Ogni volta, gli avrebbero fornito in cambio un indirizzo a cui avrebbe dovuto recarsi per prelevare il denaro. Poche decine di milioni all'inizio, per "rodare" la struttura. Poi somme sempre più grosse. In quella occasione, Ripoll fornì a quello che considerava un suo fidato collaboratore soltanto i numeri di telefono da contattare in Spagna. Da laggiù dovevano arrivare, secondo il finanziere brasiliano, circa 100 milioni di dollari. Un controllo, qualche giorno dopo, avrebbe appurato che quei numeri erano in uso a persone che gravitavano negli ambienti dell'Eta, l'organizzazione indipendentista basca. Ma il poliziotto dovette sforzarsi di non tradire l'emozione quando Ripoll, al ristorante, gli fece il nome dei componenti italiani del "consorzio": «In Italia - spiegò Ripoll all'amico - dovrai andare dagli uomini del clan Berlusconi». E più precisamente, aggiunse, dagli uomini di Torino del clan Berlusconi. Proprio nel capoluogo piemontese, infatti, sarebbe avvenuto il passaggio del denaro. Nel 1991 Silvio Berlusconi non era ancora un potenziale leader politico, ma le sue tre reti televisive erano già molto seguite in Svizzera, e l'agente si rendeva conto che quel nome dava all'inchiesta uno spessore tutto particolare. Ma lui, da poliziotto, non poteva farci niente. Ma di che razza di denaro si trattava? Questo l'infiltrato non poteva chiederlo senza allarmare Ripoll, e infatti non lo fece. Gli bastava sapere che la commissione che gli sarebbe spettata, su ogni trasporto, era dell'8 per cento. Il riciclaggio di denaro - in questo a furia di fare l'infiltrato era ormai un esperto - ha un suo tariffario: il 30 per cento al "corriere" se si tratta di denaro falso; l'1,5 o il 2 per cento se il denaro è pulito, ma per qualche ragione il proprietario vuole trasferirlo da un paese all'altro senza pubblicità. L'8 per cento è invece la commissione abitualmente fissata per il trasporto di denaro sporco: ossia proveniente da traffico di droga, armi, sequestri di persona; ma forse anche da tangenti, o evasione fiscale. Denaro "nero" in generale, insomma. Il finto trasportatore e Ripoll Mari si lasciarono nel tardo pomeriggio. Ripoll era soddisfatto, l'agente piuttosto eccitato, perché il momento dell'azione si avvicinava. La mattina dopo, contattò un colonnello della Guardia di Finanza italiana. L'alto ufficiale lavorava all'ufficio "I", una sorta di servizio informazioni delle fiamme gialle, che negli ambienti di polizia è conosciuto come il "servizio oscuro". Se il trasporto dei soldi del "clan Berlusconi" da Torino a Lugano fosse stato intercettato alla dogana di Chiasso, l'intera operazione "Mato Grosso" sarebbe saltata. Il poliziotto voleva che i colleghi italiani lasciassero passare il carico senza problemi, come già altre volte era accaduto. Il permesso fu concesso, ma a quel punto qualcosa si bloccò: gelosie tra poliziotti, ma soprattutto la presenza di agenti corrotti nel traffico organizzato da Ripoll Mari, portò prima a un rallentamento, e poi al blocco dell'inchiesta. Tutte le carte finirono nell'archivio della Procura di Lugano, dove "Avvenimenti" le ha rintracciate. Fin qui la storia dell'operazione "Mato Grosso". Ma il rapporto del 13 settembre 1991 fornisce un'altra fragorosa indicazione: «Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto - vi si legge - poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati...». Mai in precedenza il nome di Berlusconi era stato affiancato alle indagini sul gigantesco riciclaggio di narcodollari tra il Sud America, l'Italia e la Svizzera, conclusasi con due processi - a Lugano e a Roma - e con una raffica di condanne. Ma c'è anche da aggiungere che il rapporto svizzero indica la Pizza Connection soltanto come riferimento temporale. E che, oltretutto, gli inquirenti svizzeri tendono a definire come "Pizza Connection" tutte le indagini sul riciclaggio che riguardino l'Italia. Fissati questi punti fermi, abbiamo lavorato sulla traccia offerta dal rapporto della polizia di Bellinzona. Verificando che qui, a differenza che nella "operazione Mato Grosso", i contorni del presunto coinvolgimento di Berlusconi sono più sfumati e incerti. Nel rapporto vengono fatti i nomi di due magistrati «interessati» alle indagini, l'italiano Francesco Di Maggio, e lo svizzero Dick Marty. Un funzionario della polizia elvetica, che chiameremo convenzionalmente A.B., ha detto ad "Avvenimenti": «Nel 1989 Di Maggio stava lavorando insieme a un colonnello della Guardia di Finanza a una inchiesta sul casinò di Nizza, ed era inciampato su due nomi illustri, quelli di Silvio Berlusconi e di un suo amico, ex campione di motonautica, Renato Della Valle (socio di Berlusconi in "Telepiù"). La Guardia di Finanza aveva intercettato delle telefonate tra Della Valle e un certo Macolin, un torinese, in cui si parlava anche di Berlusconi. Senza informare la magistratura, un corpo di polizia italiano mise sotto controllo anche i telefoni di Silvio Berlusconi. Successivamente Di Maggio venne in Svizzera per interrogare un ticinese che già in passato aveva collaborato con le forze di polizia e che conosce bene gli ambienti finanziari elvetici e italiani». L'incontro tra Di Maggio e il collaboratore della giustizia si svolse a Chiasso, alla presenza di Dick Marty, e fu redatto anche un verbale. Dick Marty, che ha smesso la toga e oggi fa il deputato al parlamento svizzero, dice di aver collaborato spesso con l'amico e collega Di Maggio. «Ma non ricordo questa occasione - aggiunge - e in ogni caso non potrei parlarne in ossequio al principio della segretezza delle indagini». Anche Di Maggio - uno dei grandi esperti dell'intreccio tra mafia e alta finanza milanese - ha smesso di fare l'inquirente e oggi è vicedirettore degli istituti di prevenzione e pena. Ricorda l'indagine, partita dalle intercettazioni sulle utenze di Macolin, e conferma l'episodio del viaggio in Svizzera: «Interrogammo un testimone a Chiasso - racconta - e mettemmo a verbale le sue dichiarazioni, che poi confluirono in una indagine sui casinò». Di Maggio, però, smentisce che siano state messe a verbale circostanze riguardanti Berlusconi. Anche il sostituto procuratore di Roma Aurelio Galasso, che condusse il troncone italiano dell'inchiesta sulla Pizza Connection, esclude che il nome di Silvio Berlusconi sia mai finito tra quello delle persone indagate. Ricorda però che, nel corso di quelle indagini, la Criminalpol di Milano gli inviò un rapporto in cui si parlava di Silvio Berlusconi e dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, un boss della mafia palermitana trasferitosi a Milano a metà degli anni '70 ed entrato in contatto con un gruppo di "colletti bianchi", imprenditori e finanzieri milanesi particolarmente spregiudicati. Mangano, che a Milano faceva la bella vita e soggiornava al lussuoso hotel "Duca di York", rischiava il foglio di via della Questura, a causa dei suoi precedenti penali e della mancanza di un lavoro che ne giustificasse la permanenza in Lombardia. Ma trovò occupazione, fortunatamente, proprio ad Arcore, come stalliere della scuderia del cavalier Berlusconi. Il licenziamento arrivò solo nel 1980, pochi giorni prima dell'arresto per traffico di stupefacenti e altri reati. Vecchie e nuove storie, che si intrecciano attorno all'uomo più discusso - nel bene e nel male - del momento. Una vecchia storia - la Pizza Connection - un po' vaga e nebulosa, e una nuova - il "Mato Grosso" - che ha contorni più netti, ma che si è fermata su un binario morto proprio nel momento decisivo. Ma non è detto che l'inchiesta sui capitali illegali in viaggio tra Europa e Brasile non possa riaprirsi da un momento all'altro. A Ginevra, proprio in queste settimane, la polizia cantonale ha ripreso l'indagine dal punto in cui era stata abbandonata. E nei giorni scorsi il presidente del tribunale di Rio de Janeiro, Antonio Carlos Amorin, è venuto a Roma per incontrare alcuni colleghi italiani e lanciare un allarme: «il problema principale che abbiamo in questo momento non è il traffico di droga - ha spiegato Amorin - ma quello di denaro. Dall'Italia sta giungendo un flusso ininterrotto di denaro sporco. Viene dalla mafia, dalla grande criminalità e dalla finanza illegale. Decine e decine di miliardi di dollari che non transitano attraverso i canali ufficiali e di cui non si ha traccia presso la Banca Centrale del Brasile. Arriva nel nostro paese in mille modi, come la droga». L'interesse di questi misteriosi esportatori di denaro, secondo Amorin, «è chiaramente politico. Si finanzia un partito politico, o suoi esponenti, per averne un ritorno economico quando questi uomini saranno al potere. Più o meno quello che è accaduto da voi. Sono convinto che per capire la nostra tangentopoli bisogna prima capire quali sono stati i personaggi principali e i sistemi occulti della vostra». _____________________________________________ MATO GROSSO BRUNO PERINI - MILANO da http://www.bottegheoscure.it/rassegna/notdett.asp?quale=115 > La storia che vi raccontiamo è piuttosto torbida e potrebbe avere per titolo "Il grande ricatto". E' una storiaccia che risale a 6 anni fa e che ha per protagonisti Umberto Bossi, la Lega, e un ex poliziotto svizzero dell'antidroga: Fausto Cattaneo, autore di un libro, "Come mi sono infiltrato nei cartelli della droga", uscito in Francia qualche mese fa per l'editore Albin-Michel e in cerca di un editore in Italia. Sullo sfondo la palude berlusconiana che potrebbe allagarci il 13 maggio. Qualcuno, come ad esempio Michele Gambino nel libro di recente pubblicazione "Il cavaliere B.", ha già accennato alla vicenda da basso impero che cercheremo di raccontare in questo servizio, ma noi, alla vigilia delle elezioni, abbiamo voluto tornarci per ricordare a noi stessi e a tutti quelli che andranno a votare la qualità umana e politica degli uomini che fra una settimana potrebbero prendere le redini del paese. Per evitare fraintendimenti e imprecisioni siamo andati a trovare a pochi chilometri da Bellinzona, Fausto Cattaneo, l'ex poliziotto, e ci siamo fatti raccontare da lui gli avvenimenti di questo scorcio di Berlusconeide. Bisogna fare un passo indietro. E tornare al 1991 quando Fausto Cattaneo, agente antidroga, nome in codice Pierre Tarditi, viene in contatto, in veste di infiltrato, con Juan Ripoll Mari, un finanziere ispano-brasiliano che si occupa di importazione di prodotti alimentari dal Sud America. Ripoll, secondo le polizie di mezzo mondo, non è soltanto un commerciante, la sua attività clandestina pare che sia il riciclaggio di denaro sporco. Cattaneo viene infiltrato proprio per partecipare a un'operazione di riciclaggio che prenderà il nome di "Mato Grosso" e che vede come capofila Juan Ripoll Mari. Quando Cattaneo si incontra con lui, questi gli dice: "Il tuo compito sarà quello di prelevare i soldi dalla Spagna, dalla Francia e dall'Italia e trasferirli in Svizzera per versarli su un conto corrente a Lugano". Il "commerciante", tuttavia, non dice soltanto questo. Quando parla dei "consorzi" che dovranno consegnare il denaro da portare in Svizzera aggiunge: "In Italia dovrai andare dagli uomini del clan Berlusconi". Quelli di Torino, specifica Ripoll Mari. Tutto è pronto per l'operazione Mato Grosso, ma alla vigilia della partenza l'inchiesta della polizia cantonale si interrompe e dell'operazione di riciclaggio non si sa più nulla fino a qualche anno dopo. Ma Pierre Tarditi, alias Fausto Cattaneo, scrive un rapporto di polizia, datato 13 settembre 1991, nel quale cita esplicitamente l'episodio che riguarda Silvio Berlusconi, raccontato da Rippol Mari. Il commissario dell'antidroga aggiunge che già in passato era spuntato il nome di Silvio Berlusconi a proposito della Pizza connection (vedi) e dunque non c'è da meravigliarsi. "E' sulla base di quel rapporto - racconta Fausto Cattaneo pensando a quei giorni turbolenti - che nel 1995 fui contattato prima dagli uomini di Umberto Bossi, poi da Bossi in persona. C'era appena stato il ribaltone e quando la Lega venne a conoscenza del mio rapporto mi chiese un incontro. Volevano da me le prove delle mani sporche di Berlusconi. Come mi spiegarono di persona, volevano distruggere quel personaggio di nome Silvio Berlusconi. Era una domenica di primavera. Al bar Club di Cadenazzo (Bellinzona), un villaggio di 800 abitanti, incontrai il deputato Roberto Calderoli e il professor Gian Battista Gualdi. Bevemmo un ottimo vino francese. Ricordo persino che il proprietario, un vecchio amico, mi disse: "Il locale rimane aperto fino a mezzogiorno, ma tu fai quello che devi fare. Quando hai finito chiudi e poi mi fai avere le chiavi". I due galoppini di Bossi mi chiesero se su Berlusconi sapevo qualcosa di più di quello che avevo scritto nel rapporto. Risposi di no e spiegai loro che a un certo punto l'operazione che avrebbe dovuto portare a Torino si era interrotta per motivi a me ignoti ma gli feci capire che, essendo io un investigatore ormai fuori dalla polizia, avrei potuto continuare le indagini. Calderoli e Gualdi mi risposero che non erano autorizzati ad affidarmi un'inchiesta e mi dissero che mi avrebbero fatto parlare con Bossi. Dopo qualche giorno il professor Gualdi mi chiamò al telefono e mi disse che Bossi era pronto a incontrarmi nella sede della Lega a Milano. In quei giorni, prima dell'incontro con Bossi, ricevetti una telefonata da un esponente della Lega, il senatore Boso, che mi chiedeva di impegnarmi a fondo per distruggere Berlusconi". >Che cosa ricorda di quell'incontro? "Intanto non feci l'errore di andare solo. Mi presentai con due miei amici. Uno di questi era un commissario di polizia in pensione, l'altro era un giornalista. All'inizio Bossi fece il duro, sembrava che gli desse fastidio la nostra presenza. Ma quando gli feci capire che erano loro che avevano bisogno di me, abbassò le arie e cominciò a dirne di tutti i colori su Silvio Berlusconi. Ci lasciammo con un nulla di fatto ma pochi giorni dopo mi telefonò il professor Gualdi e mi disse che la lega Nord aveva stanziato un primo anticipo di 8 milioni per consentirmi di fare un viaggio in Brasile, dove avevo avuto i primi contatti con Juan Castaneda, (il nome in codice usato da Cattaneo quando parla di Juan Ripoll Mari, ndr). Mi diedero gli otto milioni in una busta all'uscita dell'autostrada, Como Nord. Quando arrivai in Brasile mi limitai in un primo tempo a ricostruire le strade di come avevo conosciuto Juan Castaneda. Scoprii però una cosa interessante che nel mio intimo mi convinse pienamente a proposito dei rapporti che Juan Castaneda diceva di avere con la Fininvest. Ecco di cosa si tratta: in un hotel di proprietà di un amico intimo di Castaneda, tale Felipe, scoprii che si teneva un congresso o riunione di tutta la Fininvest del Brasile. Tentai di entrare ma non ci riuscii, il summit era ben protetto dalla security. Alla fine del mio soggiorno a Rio De Janeiro tornai in Italia e dissi agli uomini di Umberto Bossi che le cose si stavano mettendo bene. Ma da quel giorno non ebbi più notizie delle persone che mi avevano cercato". Spariti per sempre? "Sì. E mi sono sempre chiesto perché siano improvvisamente scomparsi gli emissari di Umberto Bossi". Già, una bella domanda che rimarrà senza risposta. Forse. Il Manifesto 9/5/2001 _______________________________________ (1) Sidsney Rotalinti è un giornalista, dirige il giornale l'Aria di doman i(2) Fausto Cattaneo è un commissario molto esperto nel traffico di droga, che ha operato a lungo come infiltrato . Leggi |