Le contraddizioni e i misteri sul caso dopo un trentennio appaiono ancora numerosi e importanti, per non dire decisivi. Quello che ancora non regge nella ricostruzione ufficiale del mistero di via Fani riguarda più di un particolare. |
Solo ieri avevo pubblicato un vecchio articolo di N Chomsky che raccontava delle manovre più o meno oscure degli USA per condizionare le scelte politiche di paesi satelliti o comunque strategicamente importanti per l'Impero americano (suonerà brutto, ma come altro chiamarlo se non impero??). In pratica gli Americani in tanti paesi, come in Italia , hanno di fatto impedito la democrazia. Ed oggi arriva una conferma puntuale e precisa. Gli americani sapevano dove era tenuto prigioniero Moro. Nel tempo si è è ipotizzato che le BR fossero infiltrate dalla CIA e l'articolo che riporto sotto pare sia una conferma. Del resto anche se non ci sono prove da tribunale il giudizio storico su quella vicenda, mi pare chiaro. Moro ha pagato il suo tentativo di portare il PCI di allora nell'area di governo. Gli Americani non potevano tollerarlo. E se non furono loro ad organizzare il rapimento, di certo hanno impedito che Moro fosse salvato. Il caso Moro segna, a mio avviso, uno spartiacque. Si lasciò uccidere uno statista, un'alta carica istituzionale e politica, per impedire una democrazia compiuta. Questo consolidò un gruppo di potere che ha governato questo paese da dietro le quinte. Chi sapeva non parlò. Accettò vendendo l'anima ad un anticomunismo che non aveva senso e uccisero la speranza di diventare un paese a sovranità piena e non più una provincia dell'Impero. Quel gruppo di potere che ieri agiva nell'ombra, oggi agisce alla luce del sole, senza più mediazioni. la saldatura tra servizi, massoneria, mafia, destra eversiva agiva nell'ombra guidando Portella della Ginestra, la strategia della tensione, le stragi, la caduta e la nascita dei governi, le scelte di politica economica (Sindona fu chiamato il salvatore della lira da Andreotti!). Cosi oggi nei posti di comando alla luce del sole troviamo piduisti come Berlusconi e Cicchitto, mafiosi come Dell'Utri, e Cuffaro , capi dei servizi come Pollari, generali come Speciale. Torno a chiedere ai tanti che accusano di antiamericanismo chi fa questi discorsi: ma davvero è stato cosi conveniente sottostare al giogo degli Americani per trovarsi governati dalla mafia? Non era meglio che il paese evolvesse, come il resto dell'Europa verso democrazia almeno decenti? giuseppe galluccio 23/10/07 _______________________________________ Gli Stati Uniti sapevano dove le Brigate Rosse tenevano Aldo Moro. È la rivelazione di Giovanni Galloni, uno dei collaboratori più stretti dell’allora segretario Dc Benigno Zaccagnini ed ex vicepresidente del Csm. Una notizia shock emersa ieri nella biblioteca del Senato durante il dibattito sull’ottimo saggio di uno storico come Giuseppe de Lutiis che ha appena pubblicato «Il golpe di via Fani» per le edizioni Sperling e Kupfer. Al dibattito partecipavano persone che di quel caso si sono a lungo occupate: dal giudice Rosario Priore all’ex presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino, dall’ex presidente del Csm Giovanni Galloni all’ex presidente del Copaco Massimo Brutti. Che cosa emerge da una discussione fitta e intensa che ha richiamato in quella biblioteca una folla di giovani e di esperti che hanno lavorato nei vari organismi che ho citato? Una serie di problemi della nostra storia, di cui giornali e televisioni parlano assai poco, ripetendo al contrario verità ufficiali ormai logorate dalla loro improbabilità. Innanzitutto la rivelazione di un viaggio segreto a Washington del capo dei servizi italiani, Miceli, passato dopo i guai giudiziari all’elezione in Parlamento come deputato del Movimento Sociale Italiano. Miceli voleva probabilmente salvare Moro ma non ci riuscì, ed ebbe colloqui riservati con la Cia e personaggi politici americani e probabilmente con Henry Kessinger che anni prima aveva pubblicamente condannato l’on. Moro per la sua politica di apertura al Pci. «Miceli capì che gli americani sapevano molto - ricorda Galloni - sapevano perfettamente dove era la prigione, dove era Moro». Un altro aspetto emerso ieri è la conoscenza di una dichiarazione riservata del capo dei servizi della Germania comunista a proposito di un intervento del Mossad israeliano per la liberazione e la salvezza dello statista democristiano. Terzo punto, i rapporti che furono assai stretti tra la Raf, la principale organizzazione terroristica della Germania occidentale, e le Brigate Rosse. Non a caso è stato notato che il sequestro di Hans Martin Schleier, leader degli industriali tedeschi, avvenuto nel settembre 1977 ad opera della Raf si svolse con modalità simile a quella percorsa sei mesi più tardi dalle Br per rapire e alla fine uccidere Aldo Moro (come era avvenuto in Germania per Schleier.) Le contraddizioni e i misteri sul caso dopo un trentennio appaiono ancora numerosi e importanti, per non dire decisivi. Quello che ancora non regge nella ricostruzione ufficiale del mistero di via Fani riguarda più di un particolare. Il senatore Pellegrino ricorda il fatto che, anzitutto, il corpo di Moro depositato il 9 maggio all’incrocio tra via Caetani e via Botteghe Oscure parla una lingua assai chiara. È impossibile che l’uomo politico democristiano sia stato custodito come hanno sempre detto i brigatisti in uno spazio ristretto ricavato da una stanza: le condizioni fisiche e igieniche di Moro non sarebbero potute essere come quelle del corpo che fu sottoposto ai magistrati e all’esame autoptico nelle ore successive al ritrovamento e fanno pensare che la prigione consentiva al presidente della Dc di muoversi e di lavarsi in maniera normale. Così non si sa ancora quanti e chi fossero i brigatisti che parteciparono all’assalto di via Fani: di certo non i sette o i nove di cui hanno parlato sempre i terroristi. Basti pensare che, per un sequestro come quello assai più facile del giudice Mario Sossi nel 1974, è stato accertato che vi parteciparono diciannove brigatisti. C’è da supporre che in via Fani siano stati almeno venti o trenta e ancora non si conosce la loro identità, salvo rendersi conto - dopo le perizie balistiche - che l’eliminazione della scorta di Moro è stata compiuta da due soltanto, capaci per la loro abilità militare, di sparare una gragnuola di colpi in modo da uccidere i cinque uomini della scorta con matematica precisione senza torcere un capello al presidente che era a pochi centimetri da loro. Due altri elementi che sono emersi dal dibattito riguardano la loggia P2 di Licio Gelli. Il primo è che, durante le indagini per il rapimento di Moro nella primavera del 1978, i tre capi dei servizi di sicurezza italiani fossero tutti uomini di Gelli legati alla P2 e che la loggia non fosse, come alcuni per molti anni hanno ripetuto, un’accolita di spregiudicati affaristi ma, al contrario, uno straordinario centro di potere che annoverava più di duemila tra politici, imprenditori militari, magistrati e giornalisti penetrati profondamente nelle istituzioni e negli apparati dello Stato (e non novecento, come sembrava dall’elenco sequestrato da Turone e Colombo nella villa gelliana di Castiglion Fibocchi). E si trattò di un centro di potere, forse il massimo, dell’oltranzismo atlantico e anticomunista nel nostro Paese. Si potrebbe continuare con altre contraddizioni che restano intatte dopo otto processi che si sono svolti (l’ultimo è ancora in corso) per il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, ma quello che risulta con grande chiarezza, e che è confermato dal libro di Giuseppe De Lutiis, è il quadro internazionale entro cui si svolse il grave episodio. Si trattò di un vero e proprio “golpe” politico ed ebbe un grande successo perché riuscì a raggiungere il proprio maggior obbiettivo: sconfiggere il compromesso storico e stabilizzare al centro la situazione politica che aveva inclinato pericolosamente a sinistra in piena guerra fredda. di Nicola Tranfaglia dall' Unità guarda il video sul Caso Moro |