Ma cosa è accaduto davvero in Perù? La solita vecchia storia. Il Sudamerica è parte dei cortili dello zio Sam (cfr Chomsky). Ogni qual volta viene eletto un governo "socialista" , cioè non gradito, gli Usa mettono in moto la macchina del golpe, del rovesciamento dei brutti comunisti. In realtà si tratta principalmente di interessi economici oltre che ideologici. Gli Usa sfruttano le risorse di questi paesi (petrolio, minerali, braccia, gas...) a loro beneficio. Poi compare uno come Chavez che dice che il petrolio venezuelano è dei Venezuelani. Sono loro che decidono a chi e a quale prezzo vendere il petrolio, non gli stessi americani che lo vogliono a prezzi stracciati che finiscono nelle tasche dei potenti loro alleati. Chavez si rivolto contro questi potenti e contro gli USA e divenne per i media mainstream un sanguinario dittatore, assassino, golpista, e quanto di peggio si può scrivere. Spacciando bugie e fake per verità assolute. A partire da Allende, per passare al Nicaragua, continuando con Chavez per finire ad oggi col Perù, questi governi vengono rovesciati in qualche modo, mentre i media mainstream, si allineano raccontando che il golpista era quello eletto dal popolo democraticamente e non chi l'ha rovesciato con la violenza ed i trucchi. L'attuale presidente del Perù, sin dall'inizio, è stato insultato, ostacolato, offeso, deriso impedendogli di svolgere le sue funzioni come avevano votato i Peruviani. Quando si è ribellato l'hanno accusato di tradimento e tutto il resto e l'hanno sbattuto via. Ma la verità è altra come potete leggere anche sotto e su tutti i siti web che ancora raccontano i fatti e non la propaganda della CIA. |
Dopo il colpo di stato voluto dall’oligarchia, legata ai propri privilegi economici e sociali, oltre che agli interessi USA, il Perù è dominato da grande incertezza, “il momento più difficile degli ultimi trent’anni nel Paese”, come dichiarano fonti del Sir, e ieri la presidente Dina Boluarte (nella foto), che ha tradito il voto popolare che l’aveva eletta vicepresidente in un governo socialista, è alla guida del Paese dopo l’arresto del legittimo presidente Pedro Castillo con false accuse di corruzione e insurrezione, ha decretato lo stato d’emergenza per trenta giorni. Tale provvedimento non implica necessariamente la disposizione del coprifuoco, che al momento è stato deciso solo per alcune situazioni locali. Oggi, 15 dicembre, inoltre la Conferenza dei religiosi del Perù (Crp) ha convocato per le ore 20 una preghiera da vivere in tutta la nazione. La preghiera potrà essere seguita dal vivo attraverso la piattaforma Zoom. “Ci sentiamo chiamati a mantenere viva la speranza e vogliamo impegnarci a trovare vie di pace e di riconciliazione”, si legge in una nota della Crp . La Polizia Nazionale del Perù ha intanto confermato la morte di altre due persone nel corso delle manifestazioni seguite alla destituzione di Pedro Castillo, il bilancio dei manifestanti che hanno perso la vita sale a nove. Gli ultimi due manifestanti hanno perso la vita nella regione di La Libertad ed entrambe le morti sono avvenute durante un blocco stradale. La prima morte è avvenuta nel distretto di Chao, nella provincia di Virú, e l’altra a Simbal, Trujillo. Mercoledì pomeriggio le forze di polizia hanno informato i media locali che la persona morta a Chao, identificata come Huamán Cabrera di 26 anni, è stata colpita con un oggetto alla testa, nel mezzo agli scontri tra manifestanti e polizia. La seconda vittima, identificata come Yoni Rosalino Cárdenas Escobal di 51 anni, sarebbe stata uccisa al chilometro 26 della strada di penetrazione delle montagne. Queste morti si aggiungono alle sette che sono state precedentemente confermate dalle autorità: cinque ad Andahuaylas, una nella provincia di Chinchero, nell’Apurim, e un’altra ad Arequipa. Le vittime precedenti sono state identificate come Becan Romario Quispe Garfias (18 anni), Jonathan Encino Arias Choccepuquio (18 anni), Wilfredo Lizarme Barboza (18 anni), Miguel Arcana (38 anni), Cristian Alex Rojas Vásquez (19 anni) e due minori di 15 e 16 anni. Ma cosa chiedono i manifestanti per cessare le loro proteste al nuovo governo di Dina Boluarte? Dall’inizio delle proteste, i manifestanti hanno sottolineato che per loro l’unico “presidente costituzionale” è Pedro Castillo, perché è stato eletto dalla maggioranza del paese in elezioni democratiche. Questa è la ragione principale per cui considerano che dovrebbe tornare al potere e assumersi le responsabilità nei confronti dell’esecutivo. Allo stesso modo, considerano Castillo un “prigioniero politico” che è stato arrestato e privato della libertà dagli organi giudiziari, in modo incostituzionale e violando i diritti democratici dei cittadini. Questo è un punto importante nelle richieste dei sostenitori di Castillo, che hanno avvertito che rimarranno nelle strade per far valere i loro diritti e che potrebbero anche radicalizzare le proteste proclamando uno sciopero nazionale a tempo indeterminato, se le loro richieste non saranno soddisfatte. Uscita di scena di Dina Boluarte. I manifestanti chiedono anche che Dina Boluarte, illegittimamente designata dal parlamento come presidente della Repubblica, debba lasciare l’esecutivo, perché il suo è “un governo usurpatore”, che secondo i manifestanti non rappresenta il mandato popolare e fa parte di un “colpo di stato istituzionale” e “giudiziario” che si stava preparando contro Castillo, da quando ha assunto la presidenza nel 2021. Per i sostenitori di Castillo, Boluarte è una “traditrice” e una “marionetta” che, secondo loro, si è prestata alla “persecuzione politica” che la “destra peruviana” ha eseguito contro il suo leader assieme alla “oligarchia radicata nel Congresso, nella Procura e nel sistema giudiziario”. Inoltre, ricordano che Boluarte ha detto che si sarebbe dimessa se Castillo fosse stato destituito, una scelta che non è avvenuta. Una volta che l’insegnante rurale è stato destituito, lei è andata come vicepresidente al Congresso per essere investita come presidente. Dopo la sua nomina, Boluarte ha annunciato che sarebbe stata al fronte del paese fino al 2026. Tuttavia, di fronte alla pressione sociale e politica, le sue posizioni sono mutate e attualmente insiste sul fatto che il suo governo sarà di “transizione” e cercherà di anticipare le elezioni. Sciogliere il Congresso. Lo scioglimento del Congresso, come annunciato da Castillo prima di essere licenziato, è un’altra delle richieste che i manifestanti difendono perché ritengono che la situazione che il paese sta affrontando oggi sia responsabilità del parlamento che si è dedicato a “boicottare”, limitare e controllare l’esecutivo. Nelle loro richieste sottolineano che i membri del Congresso hanno superato i loro poteri e stanno influenzando le decisioni che il governo dovrebbe prendere in modo indipendente. Inoltre credono che il Congresso sia diventato una sorta di “setta” o “mafia” che risponde agli interessi dell'”oligarchia”, che viola la volontà popolare e le libertà democratiche. In questo senso ricordano che il Congresso è stato per anni l’epicentro dei conflitti politici in Perù e del clima di ingovernabilità, dopo aver forzato le dimissioni dei presidenti Pedro Pablo Kuczynski, Martín Vizcarra e Castillo. Quando Castillo ha fatto l’annuncio che il Congresso peruviano sarebbe stato sciolto ha anche ripreso un punto cruciale della sua campagna presidenziale ovvero riuscire a convocare un processo costituente che permetta di riformare lo Stato e la Costituzione in vigore dal 1993. I sostenitori di Castillo hanno considerato questa richiesta come un punto trasversale che deve essere tradotto nella convocazione dell’Assemblea Costituente, che permetta ai peruviani di cambiare l’attuale scontro di poteri tra il legislativo e l’esecutivo, che per via costituzionale possono dissolversi l’un l’altro, se certe richieste sono soddisfatte. Da parte loro i manifestanti credono che la riforma costituzionale che Castillo difende dovrebbe mirare al rinnovamento totale del parlamento, che attualmente ha bassi livelli di popolarità, così come deve mirare ad una ristrutturazione del sistema giudiziario, che ha portato al confronto e accentuato la crisi politica. (Andrea Puccio) Infine, scrive l’ANSA, nel villaggio rurale di Checacupe e il bus su cui viaggiano è fermo a causa di una protesta politica dopo il tentato golpe: c’è una fila di diversi chilometri di mezzi incolonnati. Tre delle giovani sono romagnole e una di Firenze. Sono Giulia Opizzi, Martina Meoni, Federica e Lorenza Zani. Solo una riesce a comunicare con il telefono. Il Comune di Cotignola si è attivato con l’ambasciata italiana. Fonti diplomatiche fanno sapere che l’Ambasciata a Lima si è già attivata ed è in contatto con la polizia locale. Le ragazze poi sono state trasferite in un ostello. “Stavamo andando in Bolivia dal Perù e ci siamo ritrovati davanti a un muro di terra e a manifestanti di paesini dove parlano ancora la lingua antica peruviana. Noi siamo tutti bloccati in un paesino sperduto nel nulla. C’è gente che non ha più soldi per mangiare, persone che non riescono a tornare a casa, a prendere un aereo perché cancellati, bambini, non fanno passare ambulanze e siamo senza servizi igienici. La polizia inesistente perché impegnata in città”, raccontano le quattro ragazze italiane. “Abbiamo provato a dialogare con i manifestanti ma non si smuovono. Molte persone non hanno più soldi! C’è chi lascia i soldi nel bagno per chi ne ha bisogno. Dormiamo in autobus”, aggiungono le ragazze che sono in Perù da circa due settimane da Il Farordiroma |